venerdì 18 aprile 2014

Dal diario di Frank: la vera letteratura e l'istituto Italiano di Cultura

4 aprile – La vera letteratura è fatta di vita, non di parole

Stamattina ho stampato presso il cyber café più sporco della storia una copia corretta del testo in spagnolo del saggio sulla felicità per consegnarla ufficialmente al MEC (Ministero di Educazione e Cultura) e ricevere in cambio una dichiarazione di interesse utile quando pubblicheremo il testo sia in Italia che in America.
Sono qui per vedere Maria. Qui non lavora nessuna Maria! In realtà si chiama Adriana, ma io la chiamo Maria. Ah, ho capito, tu sei quello della felicità, è per questo che ridi sempre! Anche per questo, ma soprattutto per un altro motivo che non ti posso rivelare. E in quella cartella che cosa c'è? Niente, solo i miei appunti. Li posso vedere? No, è una scaramanzia, non prima che vengano pubblicati. Allora non li mostrerai neanche ad Adriana! A lei sì, perché mi sta simpatica, anzi, le ho portato anche una copia con la dedica che potrà leggere o mettere sulla mensoletta dei defunti per farla leggere a loro, almeno non inventeranno la scusa del tempo quelli là. No, quelli non hanno scuse, i tuoi libri devono leggerli per forza.
Questo è stato, grosso modo, il mio discorso giornaliero con me stesso, che arriva senza preavviso e non può essere rimandato perché nasce da un bisogno impellente, quasi più forte di quello di scrivere, ma tutto questo, ai fini delle nostre ricerche delle felicità, non ha importanza, quindi, per evitare che anche voi vi perdiate nei miei mondi immaginari, sarà meglio parlarvi del MEC e della signora Adriana, detta anche zia Maria o più confidenzialmente Maria.
La collega di Adriana mi sorride subito quando entro nell'ufficio incartamenti al primo piano, Francisco como andas?, che significa, come stai?, ma lo avevate già capito senza la mia traduzione, e corre subito a chiamare Adriana perché, se sono qui con un mazzo di fogli in mano e un sorriso da ebete, può voler dire soltanto una cosa: il saggio in spagnolo è pronto, e in effetti lo è, mi è costato un mese di notti in bianco, senza contare tutto il tempo speso a casa prima di partire mentre la mia Anisetta mi preparava un caffè dopo l'altro, quasi come se la scrittura di testi fosse una specie di gioco di squadra. Adriana è nel suo ufficio, dietro una porta di vetro attraverso la quale si vede ogni cosa, persino di che colore sono i suoi vestiti e come muove le mani sulla scrivania mentre le annunciano la mia presenza nell'anticamera, poi, con il suo fare gentile e materno, viene fuori per parlare con me, ha in mano il mio biglietto da visita, quello su cui c'è scritto scrittore e uomo libero accanto all'immagine di un gufetto con gli occhiali, ma del gufetto con gli occhiali adesso non ci importa. Como andas Francisco?, evito la traduzione, quello è il testo corretto? Sì, diciamo che adesso è corretto ma potrebbe essere più corretto, è un lavoro strano il mio, non si finisce mai quando lo decidi tu. E chi lo decide? Loro, le rispondo, e indico le pagine stampate nel cyber café più sporco della storia. Ho capito, risponde Adriana, ma non so se ha capito sul serio, certe cose o si capiscono o non si capiscono, non si possono capire a metà. Per avere la dichiarazione di interesse ufficiale, il pezzo di carta che mi hai chiesto, ci vogliono al massimo una decina di giorni. Non c'è problema, sono qui per questo. Ma tu non hai una famiglia che ti aspetta, un lavoro o degli amici?, puoi stare qui tutto il tempo che ti pare? Per quanto riguarda la famiglia, le spiego appoggiando i gomiti sul bancone, ci stiamo pensando, e per gli amici, quelli, ogni tanto bisogna partire per un po'di tempo, per capire quali sono quelli veri!, te l'ho detto, Adriana, finché non lo incontro di persona di qui non me ne vado... e poi, forse mi mandano anche dei soldi! Beato te, mi dice Adriana, e visto che ieri sera me lo ha detto anche la cameriera della trattoria sotto casa, e incomincia a darmi noia, le spiego che la mia non è una vacanza e che non mi sto divertendo, mi manca un pezzo per essere felice, per il momento sono come una macchina con due ruote. Comunque, continua la bella signora del MEC, ho parlato con la segreteria della Presidenza, li ho chiamati di nuovo l'altro giorno. E cosa ti hanno detto? Che per il momento non c'è spazio nell'agenda, non penso che sarà tanto facile incontrarlo di persona. Non le rispondo perché è buona educazione aspettare che la gente finisca di parlare, infatti, per concludere la sua frase, aggiunge: ci sono disegnatori, giornalisti, registi che vengono da ogni parte del mondo per vederlo e non può accettare tutti, ma mi hanno assicurato che puoi utilizzare le sue parole per il tuo saggio e tutte le immagini che vuoi. Si tratta di un testo scritto, non ci sono immagini, forse solo una nella copertina, ma anche lì a volte non ce ne sono. Mi dispiace Francisco, intanto prepariamo la dichiarazione del Ministero, te l'ho detto, ci vorrà una settimana, al massimo dieci giorni, tu e il tuo editore potrete usare anche il logo del MEC e inserirlo nelle note, sai, quelle note piccole piccole. Ho capito, ma a me non basta, il benestare vostro e quello della Presidenza sono cose per intellettuali, per quelli che vivono nel loro mondo di belle parole ricercate, io scrivo per la gente della strada e scrivo solo cose vere, se non lo vedo negli occhi e non gli stringo la mano, tutto quello che ho fatto finora non avrà alcun valore. E questo testo, allora? Quello è corretto, ma, come ti ho detto, potrebbe essere più corretto.
Adriana, che quando è triste assomiglia ancora di più alla mia zia preferita perché tira fuori quella parte malinconica delle signore di una volta, quella che oggi cancellano con le creme di bellezza e simili oscenità, mi stinge la mano e mi ringrazia per la copia che le ho regalato, sopra c'è scritto: Per una bella signora che mi ha ricordato la mia infanzia in Italia con la sua voce dolce e il suo profumo di gran0, con la mia gratitudine, F. Mette l'altra copia agli atti, mi rilascia un altro numero di protocollo, si divide continuamente tra la funzionaria rigorosa e la donna premurosa, mi sorride infine e promette che mi farà sapere se le è piaciuto. Lo spero tanto, le rispondo, più della dichiarazione di interesse del MEC, perché il MEC non è una persona vera, è soltanto una sigla.


Istituto Italiano di Cultura di Montevideo

La cameriera della trattoria sotto casa si chiama Maria, mi dice sempre suerte y salud Francisco, e quando mi serve l'acqua mette sempre una mano dietro alla schiena come le hanno insegnato i proprietari che la controllano da dietro al bancone. Quella che io chiamo trattoria in realtà è una delle tante parrillas che si trovano dappertutto, ma io vengo qui a cenare perché dalla finestra di legno si vede un pezzetto di mare e anche quando mi fa male la mano riesco a distrarmi e a dimenticare il dolore per finire la pagina. Maria porta un apparecchio per i denti e indossa sempre una maglietta nera con la scritta Amor a Vos.
Domani mattina ho un appuntamento importante. Con chi? Con il direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, un certo dott. Gialdroni. È per il saggio sulla felicità?, mi chiede Maria. Sì, può darsi che quelli dell' Istituto Italiano di Cultura di Montevideo possano accelerare i tempi e farmi incontrare prima il Presidente, dopotutto parliamo la stessa lingua! Ma tu non eri francese? Sono francese ma sono anche italiano, le spiego. Beato te, io sono soltanto uruguayana, dice Maria mentre la chiamano da un altro tavolo, sicuramente si tratta di un altro che arriva dall'Europa per scrivere un saggio sulla felicità, ogni giorno sogno fiumi di persone che cercano la felicità e si imbarcano per Montevideo. Ma la felicità non è qui! Io non sono venuto per cercare quella, anzi, quella l'ho lasciata a casa mia, nel mio letto, abbracciata alla mia Anisetta. La felicità, vi svelerò un segreto, ce l'abbiamo qui dentro, in qualche posto che non sappiamo mai individuare esattamente. Ritornando all'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, controllo la copia che ho preparato per domani mattina, l'ho stampata per mostrarla al dott. Gialdroni, è pressoché corretta, ed è una copia fortunata perché il ragazzo che me l'ha stampata portava una maglietta di Messi, il quale, a quanto dicono gli appassionati, fa sempre gol. La segretaria dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, che adesso chiamerò soltanto Istituto Italiano di Cultura per alleggerire la lettura di queste note, si chiama Silvana Rossignol, come Jean Rossignol, un amico mio...
Per strada continuano a suonare gli allarmi, anche le porte dei garage suonano a tutte le ore: ogni volta che le automobili e le persone entrano o escono, parte una sirena insopportabile! Mi chiedo chi abbia inventato un sistema del genere, una sirena infernale a ogni angolo, quale commissione di ingegneri specializzati si sia riunita, allora signori, da oggi in poi in ogni angolo della città ci sarà una sirena assordante che avvertirà l'intero quartiere quando qualcuno sta parcheggiando la sua macchina, o se sta uscendo per andare a prendere i suoi figli a scuola, sì, sì, ripetono i venti membri della commissione speciale di ingegneri riunita per l'allestimento dei garage, e per andare alla Feria, e a lavorare, certo, certo, è un'idea magnifica! Ma al momento della messa ai voti risultano diciannove sì e un no, tutti si preoccupano all'idea di un altro dibattito che farebbe perdere loro l'intera mattinata, una serena mattinata di aprile che potrebbe risultare utile per inventare utilissime campane elettriche per le chiese, frigoriferi vibranti che mantengono inalterato il livello di follia della maionese, e chiedono allora: chi ha votato contro?, per scoprire finalmente che si tratta del collega sordo, sordo per sua fortuna in questa città di pazzi.
Mi rendo conto di non aver detto molto riguardo all'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, che però avevo deciso di chiamare Istituto Italiano di Cultura, perché Isituto Italiano di Cultura di Montevideo era troppo lungo, ma domani, dopo esserci stato, lo farò.

Istituto Italiano di Cultura di Montevideo e politica locale

Nello stesso palazzo dell'Istituto di cultura c'era l'ambasciata del mio Bel Paese d'origine, del quale conservavo un affettuoso ricordo della vera pizza e della mia famiglia. La porta d'ingresso era in cima a una scalinata di marmo ripida come una montagna innevata senza sci, il legno delle imposte non aveva odore e poche foglie cadute dagli alberi della stradina in discesa si infilarono dentro assieme a me. Il vento quel giorno era contrario alla politica.
In quel periodo ero un giovane che scriveva di felicità, non mi importava nulla della direzione del vento, ma questo, per l'Istituto Italiano di Cultura, non aveva importanza. Entrai con le foglie, quindi, spinsi la porta pesante, il vetro brillante che profumava di detersivo costoso riflesse la mia faccia assonnata, avevo preso solo un caffè ed ero sveglio dalle cinque per sistemare la presentazione del testo e la traduzione in spagnolo. Avevo parlato con la segretaria, la signora Rossignol, che era stata molto gentile, signor Iodice, la aspettiamo con molto interesse domani mattina, aveva detto, io avevo sorriso come una ragazzina dopo il primo bacio.
Il dott. Gialdroni apparve dopo pochi minuti, era molto magro, di un certo fascino trasandato che noi europei sappiamo portare addosso anche in altri Paesi, aveva la fede e una giacca chiara di cotone. Questo è Frank Iodice, gli disse la persona che mi accompagnava. Molto piacere, Francesco, aggiunsi io. La mano che mi tese era sottile e incompleta, segno che non mi avrebbe aiutato, ma aveva anche un sorriso rilassato e onesto perché il rifiuto non dipendeva da lui.
Ci accomodammo nella sala riunioni per una chiacchierata informale, dietro alle sue spalle c'erano la bandiera tricolore e quella blu dell'Unione Europea, dietro alle mie, uno specchio, quindi le bandiere erano anche dietro di me. Il tavolo pesava tonnellate solo a guardarlo!, le sedie di legno e cuoio, povere vacche diventate sedie, non doveva essere stato facile. Molte grazie per avermi ricevuto, dissi. Figurati, dammi pure del Tu, è strano parlare in spagnolo tra di noi. Sì, in effetti è strano, risposi, si finisce per mescolare tutto. Ma io c'ero abituato perché avevo sempre parlato altre lingue che non erano la mia. La mia lingua madre era l'italiano, ma lo parlavo soltanto nei miei libri.
Quella mattina di tanti anni fa a Montevideo c'era un vento nizzardo che mi inseguiva ovunque andassi per non farmi dimenticare da dove venivo e dove dovevo ritornare; ognuno si sceglie gli agenti atmosferici che gli pare per ricordarsi di casa sua!
Noi, come Istituto, supportiamo molti eventi culturali realizzati da italiani in Uruguay, venerdì, domani, per esempio, ci sarà uno spettacolo teatrale proprio qui sotto, e stasera c'è Eugenio Bennato che suona Zitarrosa. Avete un teatro qui sotto? Sì, è uno spazio modesto che mettiamo a disposizione degli artisti anche per evitare troppe spese di affitti delle sale. Il mio, gli spiegai, non è uno spettacolo, si tratta di un saggio sulla felicità ispirato alla filosofia di vita del Presidente Mujica, sarà pubblicato anche in Italia dal mio editore, Lupo. Sì, lo conosco, è quello del Salento, vero? Sì, e da un po' di tempo si sta facendo apprezzare anche a livello nazionale, pubblica belle storie e confeziona libri succulenti!, Lupo è una persona eccezionale, appassionato inseguitore di sogni, come me. Guardai fuori, l'autunno era ancora lì ed era selvaggio, nessuno poteva addomesticare l'autunno. Per questo progetto, continuai, abbiamo il supporto del paese della filosofia! In Italia c'è un paese della filosofia? Certo, laggiù i giovani pensatori si formano un'idea propria, l'editore e la sindaco di Corigliano, la signora Ada Fiore, hanno accolto con entusiasmo la mia idea folle di partire per Montevideo con questi appunti per scrivere di felicità. Michele Gialdroni guardò più volte la mia cartellina gialla, tutti mi guardavano la cartellina gialla. Me l'aveva regalata mio fratello, Andrea, che amava leggere le mie storie e non se ne perdeva neanche una. Il saggio, continuai, non ha nulla a che fare con la visione politica di Mujica, anzi, quella non mi interessa per niente, il nostro è un approccio filosofico alla felicità, parlo di Seneca, di Erich Fromm, e uso alcune frasi del Presidente, per questo sto cercando qualcuno che mi aiuti a incontrarlo, e con il vostro avallo sarebbe più facile. Certo che Mujica in Italia è diventato davvero popolare!, sono tutti matti per Mujica, al di là delle scelte politiche che sul piano locale possono essere apprezzate o meno, come dappertutto. Infatti ero lì perché guardando soltanto le interviste online non avrei conosciuto l'altra metà della medaglia, inoltre ci tenni a precisare che io ero matto e che lo era anche il mio editore, eravamo matti perché credevamo nell'amore e nella ricerca della felicità, prima, molto prima di quella del denaro. Gialdroni mi fece una smorfia, forse non credeva che a me dei soldi non importava nulla, non ci credeva nessuno fino a quando non gli raccontavo che avevo regalato tutti i miei vestiti e che vivevo di sola arte, vale a dire, mangiando poco. Ciò che mi terrorizza più di ogni altra cosa al mondo sono i soldi, spiegai, ho una paura fisiologica dell'arricchimento, come se comportasse per forza la perdita di tutti i valori e soprattutto della fame di vita necessaria per scrivere quello che scrivo io.
Chiarito questo punto, Gialdroni, con gentilezza, una mano appoggiata sullo schienale della sedia accanto alla sua, - attorno a noi c'erano sei sedie vuote – mi spiegò qualcosa che avevo temuto ma che allo stesso tempo avevo escluso confidando in un sentimento connazionale: purtroppo, l'Istituto Italiano di Cultura deve mantenersi neutrale dal punto di vista politico, quindi, trattandosi di una figura attualmente impegnata, non possiamo esporci supportando un testo che in qualche modo ne tesse le lodi. Capisco, ma si tratta pur sempre di un presidente sudamericano eletto dalla maggioranza, e il messaggio umano e filosofico di quest'uomo, lo dobbiamo ammettere, è apprezzato da entrambi i gruppi, inoltre nel nostro saggio si fa riferimento all'uomo e non al politico. Mi sembra molto interessante, ma non possiamo, una lettera di interesse da parte nostra per un testo scritto... Non importa, gli risposi ridendo, possiamo sempre rivederci l'anno prossimo, quando Mujica sarà in pensione!
Una risata mise fine a questa parte della conversazione. Sebbene tutti fossero molto curiosi, il saggio era sempre chiuso in quella cartellina gialla e non l'avevo ancora fatto vedere a nessuno!

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