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aprile – La vera letteratura è fatta di vita, non di parole
Stamattina
ho stampato presso il cyber café più sporco della storia una copia
corretta del testo in spagnolo del saggio sulla felicità per
consegnarla ufficialmente al MEC (Ministero di Educazione e Cultura)
e ricevere in cambio una dichiarazione di interesse utile quando
pubblicheremo il testo sia in Italia che in America.
Sono
qui per vedere Maria. Qui non lavora nessuna Maria! In realtà si
chiama Adriana, ma io la chiamo Maria. Ah, ho capito, tu sei quello
della felicità, è per questo che ridi sempre! Anche per questo, ma
soprattutto per un altro motivo che non ti posso rivelare. E in
quella cartella che cosa c'è? Niente, solo i miei appunti. Li posso
vedere? No, è una scaramanzia, non prima che vengano pubblicati.
Allora non li mostrerai neanche ad Adriana! A lei sì, perché mi sta
simpatica, anzi, le ho portato anche una copia con la dedica che
potrà leggere o mettere sulla mensoletta dei defunti per farla
leggere a loro, almeno non inventeranno la scusa del tempo quelli là.
No, quelli non hanno scuse, i tuoi libri devono leggerli per forza.
Questo
è stato, grosso modo, il mio discorso giornaliero con me stesso, che
arriva senza preavviso e non può essere rimandato perché nasce da
un bisogno impellente, quasi più forte di quello di scrivere, ma
tutto questo, ai fini delle nostre ricerche delle felicità, non ha
importanza, quindi, per evitare che anche voi vi perdiate nei miei
mondi immaginari, sarà meglio parlarvi del MEC e della signora
Adriana, detta anche zia Maria o più confidenzialmente Maria.
La
collega di Adriana mi sorride subito quando entro nell'ufficio
incartamenti al primo piano, Francisco como andas?, che
significa, come stai?, ma lo avevate già capito senza la mia
traduzione, e corre subito a chiamare Adriana perché, se sono qui
con un mazzo di fogli in mano e un sorriso da ebete, può voler dire
soltanto una cosa: il saggio in spagnolo è pronto, e in effetti lo
è, mi è costato un mese di notti in bianco, senza contare tutto il
tempo speso a casa prima di partire mentre la mia Anisetta mi
preparava un caffè dopo l'altro, quasi come se la scrittura di testi
fosse una specie di gioco di squadra. Adriana è nel suo ufficio,
dietro una porta di vetro attraverso la quale si vede ogni cosa,
persino di che colore sono i suoi vestiti e come muove le mani sulla
scrivania mentre le annunciano la mia presenza nell'anticamera, poi,
con il suo fare gentile e materno, viene fuori per parlare con me, ha
in mano il mio biglietto da visita, quello su cui c'è scritto
scrittore e uomo libero accanto all'immagine di un gufetto con gli
occhiali, ma del gufetto con gli occhiali adesso non ci importa. Como
andas Francisco?, evito la traduzione, quello è il testo
corretto? Sì, diciamo che adesso è corretto ma potrebbe essere più
corretto, è un lavoro strano il mio, non si finisce mai quando lo
decidi tu. E chi lo decide? Loro, le rispondo, e indico le pagine
stampate nel cyber café più sporco della storia. Ho capito,
risponde Adriana, ma non so se ha capito sul serio, certe cose o si
capiscono o non si capiscono, non si possono capire a metà. Per
avere la dichiarazione di interesse ufficiale, il pezzo di carta che
mi hai chiesto, ci vogliono al massimo una decina di giorni. Non c'è
problema, sono qui per questo. Ma tu non hai una famiglia che ti
aspetta, un lavoro o degli amici?, puoi stare qui tutto il tempo che
ti pare? Per quanto riguarda la famiglia, le spiego appoggiando i
gomiti sul bancone, ci stiamo pensando, e per gli amici, quelli, ogni
tanto bisogna partire per un po'di tempo, per capire quali sono
quelli veri!, te l'ho detto, Adriana, finché non lo incontro di
persona di qui non me ne vado... e poi, forse mi mandano anche dei
soldi! Beato te, mi dice Adriana, e visto che ieri sera me lo ha
detto anche la cameriera della trattoria sotto casa, e incomincia a
darmi noia, le spiego che la mia non è una vacanza e che non mi sto
divertendo, mi manca un pezzo per essere felice, per il momento sono
come una macchina con due ruote. Comunque, continua la bella signora
del MEC, ho parlato con la segreteria della Presidenza, li ho
chiamati di nuovo l'altro giorno. E cosa ti hanno detto? Che per il
momento non c'è spazio nell'agenda, non penso che sarà tanto facile
incontrarlo di persona. Non le rispondo perché è buona educazione
aspettare che la gente finisca di parlare, infatti, per concludere la
sua frase, aggiunge: ci sono disegnatori, giornalisti, registi che
vengono da ogni parte del mondo per vederlo e non può accettare
tutti, ma mi hanno assicurato che puoi utilizzare le sue parole per
il tuo saggio e tutte le immagini che vuoi. Si tratta di un testo
scritto, non ci sono immagini, forse solo una nella copertina, ma
anche lì a volte non ce ne sono. Mi dispiace Francisco, intanto
prepariamo la dichiarazione del Ministero, te l'ho detto, ci vorrà
una settimana, al massimo dieci giorni, tu e il tuo editore potrete
usare anche il logo del MEC e inserirlo nelle note, sai, quelle note
piccole piccole. Ho capito, ma a me non basta, il benestare vostro e
quello della Presidenza sono cose per intellettuali, per quelli che
vivono nel loro mondo di belle parole ricercate, io scrivo per la
gente della strada e scrivo solo cose vere, se non lo vedo negli
occhi e non gli stringo la mano, tutto quello che ho fatto finora non
avrà alcun valore. E questo testo, allora? Quello è corretto, ma,
come ti ho detto, potrebbe essere più corretto.
Adriana,
che quando è triste assomiglia ancora di più alla mia zia preferita
perché tira fuori quella parte malinconica delle signore di una
volta, quella che oggi cancellano con le creme di bellezza e simili
oscenità, mi stinge la mano e mi ringrazia per la copia che le ho
regalato, sopra c'è scritto: Per una bella signora che mi ha
ricordato la mia infanzia in Italia con la sua voce dolce e il suo
profumo di gran0, con la mia gratitudine, F. Mette l'altra copia
agli atti, mi rilascia un altro numero di protocollo, si divide
continuamente tra la funzionaria rigorosa e la donna premurosa, mi
sorride infine e promette che mi farà sapere se le è piaciuto. Lo
spero tanto, le rispondo, più della dichiarazione di interesse del
MEC, perché il MEC non è una persona vera, è soltanto una sigla.
Istituto
Italiano di Cultura di Montevideo
La
cameriera della trattoria sotto casa si chiama Maria, mi dice sempre
suerte y salud Francisco, e quando mi serve l'acqua
mette sempre una mano dietro alla schiena come le hanno insegnato i
proprietari che la controllano da dietro al bancone. Quella che io
chiamo trattoria in realtà è una delle tante parrillas che
si trovano dappertutto, ma io vengo qui a cenare perché dalla
finestra di legno si vede un pezzetto di mare e anche quando mi fa
male la mano riesco a distrarmi e a dimenticare il dolore per finire
la pagina. Maria porta un apparecchio per i denti e indossa sempre
una maglietta nera con la scritta Amor a Vos.
Domani
mattina ho un appuntamento importante. Con chi? Con il direttore
dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, un certo dott.
Gialdroni. È per il saggio
sulla felicità?, mi chiede Maria. Sì, può darsi che quelli dell'
Istituto Italiano di Cultura di Montevideo possano accelerare i tempi
e farmi incontrare prima il Presidente, dopotutto parliamo la stessa
lingua! Ma tu non eri francese? Sono francese ma sono anche italiano,
le spiego. Beato te, io sono soltanto uruguayana, dice Maria mentre
la chiamano da un altro tavolo, sicuramente si tratta di un altro che
arriva dall'Europa per scrivere un saggio sulla felicità, ogni
giorno sogno fiumi di persone che cercano la felicità e si imbarcano
per Montevideo. Ma la felicità non è qui! Io non sono venuto per
cercare quella, anzi, quella l'ho lasciata a casa mia, nel mio letto,
abbracciata alla mia Anisetta. La felicità, vi svelerò un segreto,
ce l'abbiamo qui dentro, in qualche posto che non sappiamo mai
individuare esattamente. Ritornando all'Istituto Italiano di Cultura
di Montevideo, controllo la copia che ho preparato per domani
mattina, l'ho stampata per mostrarla al dott. Gialdroni, è pressoché
corretta, ed è una copia fortunata perché il ragazzo che me l'ha
stampata portava una maglietta di Messi, il quale, a quanto dicono
gli appassionati, fa sempre gol. La segretaria dell'Istituto Italiano
di Cultura di Montevideo, che adesso chiamerò soltanto Istituto
Italiano di Cultura per alleggerire la lettura di queste note, si
chiama Silvana Rossignol, come Jean Rossignol, un amico mio...
Per
strada continuano a suonare gli allarmi, anche le porte dei garage
suonano a tutte le ore: ogni volta che le automobili e le persone
entrano o escono, parte una sirena insopportabile! Mi chiedo chi
abbia inventato un sistema del genere, una sirena infernale a ogni
angolo, quale commissione di ingegneri specializzati si sia riunita,
allora signori, da oggi in poi in ogni angolo della città ci sarà
una sirena assordante che avvertirà l'intero quartiere quando
qualcuno sta parcheggiando la sua macchina, o se sta uscendo per
andare a prendere i suoi figli a scuola, sì, sì, ripetono i venti
membri della commissione speciale di ingegneri riunita per
l'allestimento dei garage, e per andare alla Feria, e a lavorare,
certo, certo, è un'idea magnifica! Ma al momento della messa ai voti
risultano diciannove sì e un no, tutti si preoccupano all'idea di un
altro dibattito che farebbe perdere loro l'intera mattinata, una
serena mattinata di aprile che potrebbe risultare utile per inventare
utilissime campane elettriche per le chiese, frigoriferi vibranti che
mantengono inalterato il livello di follia della maionese, e chiedono
allora: chi ha votato contro?, per scoprire finalmente che si tratta
del collega sordo, sordo per sua fortuna in questa città di pazzi.
Mi
rendo conto di non aver detto molto riguardo all'Istituto Italiano di
Cultura di Montevideo, che però avevo deciso di chiamare Istituto
Italiano di Cultura, perché Isituto Italiano di Cultura di
Montevideo era troppo lungo, ma domani, dopo esserci stato, lo farò.
Istituto Italiano di Cultura di Montevideo e politica locale
Nello
stesso palazzo dell'Istituto di cultura c'era l'ambasciata del mio
Bel Paese d'origine, del quale conservavo un affettuoso ricordo della
vera pizza e della mia famiglia. La porta d'ingresso era in cima a
una scalinata di marmo ripida come una montagna innevata senza sci,
il legno delle imposte non aveva odore e poche foglie cadute dagli
alberi della stradina in discesa si infilarono dentro assieme a me.
Il vento quel giorno era contrario alla politica.
In
quel periodo ero un giovane che scriveva di felicità, non mi
importava nulla della direzione del vento, ma questo, per l'Istituto
Italiano di Cultura, non aveva importanza. Entrai con le foglie,
quindi, spinsi la porta pesante, il vetro brillante che profumava di
detersivo costoso riflesse la mia faccia assonnata, avevo preso solo
un caffè ed ero sveglio dalle cinque per sistemare la presentazione
del testo e la traduzione in spagnolo. Avevo parlato con la
segretaria, la signora Rossignol, che era stata molto gentile, signor
Iodice, la aspettiamo con molto interesse domani mattina, aveva
detto, io avevo sorriso come una ragazzina dopo il primo bacio.
Il
dott. Gialdroni apparve dopo pochi minuti, era molto magro, di un
certo fascino trasandato che noi europei sappiamo portare addosso
anche in altri Paesi, aveva la fede e una giacca chiara di cotone.
Questo è Frank Iodice, gli disse la persona che mi accompagnava.
Molto piacere, Francesco, aggiunsi io. La mano che mi tese era
sottile e incompleta, segno che non mi avrebbe aiutato, ma aveva
anche un sorriso rilassato e onesto perché il rifiuto non dipendeva
da lui.
Ci
accomodammo nella sala riunioni per una chiacchierata informale,
dietro alle sue spalle c'erano la bandiera tricolore e quella blu
dell'Unione Europea, dietro alle mie, uno specchio, quindi le
bandiere erano anche dietro di me. Il tavolo pesava tonnellate solo a
guardarlo!, le sedie di legno e cuoio, povere vacche diventate sedie,
non doveva essere stato facile. Molte grazie per avermi ricevuto,
dissi. Figurati, dammi pure del Tu, è strano parlare in spagnolo tra
di noi. Sì, in effetti è strano, risposi, si finisce per mescolare
tutto. Ma io c'ero abituato perché avevo sempre parlato altre lingue
che non erano la mia. La mia lingua madre era l'italiano, ma lo
parlavo soltanto nei miei libri.
Quella
mattina di tanti anni fa a Montevideo c'era un vento nizzardo che mi
inseguiva ovunque andassi per non farmi dimenticare da dove venivo e
dove dovevo ritornare; ognuno si sceglie gli agenti atmosferici che
gli pare per ricordarsi di casa sua!
Noi,
come Istituto, supportiamo molti eventi culturali realizzati da
italiani in Uruguay, venerdì, domani, per esempio, ci sarà uno
spettacolo teatrale proprio qui sotto, e stasera c'è Eugenio Bennato
che suona Zitarrosa. Avete un teatro qui sotto? Sì, è uno spazio
modesto che mettiamo a disposizione degli artisti anche per evitare
troppe spese di affitti delle sale. Il mio, gli spiegai, non è uno
spettacolo, si tratta di un saggio sulla felicità ispirato alla
filosofia di vita del Presidente Mujica, sarà pubblicato anche in
Italia dal mio editore, Lupo. Sì, lo conosco, è quello del Salento,
vero? Sì, e da un po' di tempo si sta facendo apprezzare anche a
livello nazionale, pubblica belle storie e confeziona libri
succulenti!, Lupo è una persona eccezionale, appassionato
inseguitore di sogni, come me. Guardai fuori, l'autunno era ancora lì
ed era selvaggio, nessuno poteva addomesticare l'autunno. Per questo
progetto, continuai, abbiamo il supporto del paese della filosofia!
In Italia c'è un paese della filosofia? Certo, laggiù i giovani
pensatori si formano un'idea propria, l'editore e la sindaco di
Corigliano, la signora Ada Fiore, hanno accolto con entusiasmo la mia
idea folle di partire per Montevideo con questi appunti per scrivere
di felicità. Michele Gialdroni guardò più volte la mia cartellina
gialla, tutti mi guardavano la cartellina gialla. Me l'aveva regalata
mio fratello, Andrea, che amava leggere le mie storie e non se ne
perdeva neanche una. Il saggio, continuai, non ha nulla a che fare
con la visione politica di Mujica, anzi, quella non mi interessa per
niente, il nostro è un approccio filosofico alla felicità, parlo di
Seneca, di Erich Fromm, e uso alcune frasi del Presidente, per questo
sto cercando qualcuno che mi aiuti a incontrarlo, e con il vostro
avallo sarebbe più facile. Certo che Mujica in Italia è diventato
davvero popolare!, sono tutti matti per Mujica, al di là delle
scelte politiche che sul piano locale possono essere apprezzate o
meno, come dappertutto. Infatti ero lì perché guardando soltanto le
interviste online non avrei conosciuto l'altra metà della medaglia,
inoltre ci tenni a precisare che io ero matto e che lo era anche il
mio editore, eravamo matti perché credevamo nell'amore e nella
ricerca della felicità, prima, molto prima di quella del denaro.
Gialdroni mi fece una smorfia, forse non credeva che a me dei soldi
non importava nulla, non ci credeva nessuno fino a quando non gli
raccontavo che avevo regalato tutti i miei vestiti e che vivevo di
sola arte, vale a dire, mangiando poco. Ciò che mi terrorizza più
di ogni altra cosa al mondo sono i soldi, spiegai, ho una paura
fisiologica dell'arricchimento, come se comportasse per forza la
perdita di tutti i valori e soprattutto della fame di vita necessaria
per scrivere quello che scrivo io.
Chiarito
questo punto, Gialdroni, con gentilezza, una mano appoggiata sullo
schienale della sedia accanto alla sua, - attorno a noi c'erano sei
sedie vuote – mi spiegò qualcosa che avevo temuto ma che allo
stesso tempo avevo escluso confidando in un sentimento connazionale:
purtroppo, l'Istituto Italiano di Cultura deve mantenersi neutrale
dal punto di vista politico, quindi, trattandosi di una figura
attualmente impegnata, non possiamo esporci supportando un testo che
in qualche modo ne tesse le lodi. Capisco, ma si tratta pur sempre di
un presidente sudamericano eletto dalla maggioranza, e il messaggio
umano e filosofico di quest'uomo, lo dobbiamo ammettere, è
apprezzato da entrambi i gruppi, inoltre nel nostro saggio si fa
riferimento all'uomo e non al politico. Mi sembra molto interessante,
ma non possiamo, una lettera di interesse da parte nostra per un
testo scritto... Non importa, gli risposi ridendo, possiamo sempre
rivederci l'anno prossimo, quando Mujica sarà in pensione!
Una
risata mise fine a questa parte della conversazione. Sebbene tutti
fossero molto curiosi, il saggio era sempre chiuso in quella
cartellina gialla e non l'avevo ancora fatto vedere a nessuno!
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