mercoledì 23 aprile 2014

Dal diario di Frank: 15 e 16 aprile 2014

Continuate a seguire il viaggio di Frank Iodice in Uruguay, alla ricerca della felicità...

16 aprile - Il mistero della panna montata

Stamattina ho preso un autobus per Maldonado, che è un paesino tranquillo alle porte di Punta del Este, la località balneare per eccellenza; i grossi palazzi di Punta del Este si vedevano già dalla strada che scende verso la costa, una statale poco trafficata e piena di sole tutto l'anno. Henry e io abbiamo mangiato un paio di palmeritas alemanas, che sono una specie di biscotto danese con lo zucchero caramellato, e siamo partiti con un itinerario più o meno studiato. La stazione degli autobus di Montevideo è anche il posto dove ci sono i negozi più chic, si chiama Tres Cruces, la gente lì ti guarda male se porti un paio di scarpe come le mie, che hanno fatto la loro storia; invece in centro ti guardano male se porti scarpe nuove: insomma, per una ragione o per un'altra, qui ti guardano sempre male!
Ci accompagnava una certa eccitazione per la notizia della pubblicazione de Le api di ghiaccio, che si scrive con l'articolo Le, ma sui cataloghi si trova senza l'articolo; è come se dall'Italia mi avessero chiamato per dirmi che era nato il mio bambino, soprattutto perché un libro, una volta messo al mondo, è come un bambino che poi deve prendere il suo cammino e farsi amare dalla gente. Farsi amare è molto più difficile di amare.
Il caffè a Maldonado è acido e bruciato, non c'è molto da vedere, lo capirete dalle foto che vi allego: case basse e colorate, gente cordiale che non ti guarda le scarpe, molti cani che fanno amicizia con i bambini agli angoli delle strade. I bambini e i cani sembrano abbandonati. Per mangiare
qualcosa siamo entrati in un bar tranquillo all'ombra degli alberi di un parco, e anche del bar vi invio la foto; ma cercherò di non mostrarvi più tante fotografie altrimenti non leggerete il resto delle note e guarderete soltanto quelle. Il bar era pieno di libri, mi si sono illuminati gli occhi come a un bambino davanti a un negozio di caramelle. Ma ormai i bambini non si emozionano più davanti alle caramelle se non hanno una certa risoluzione grafica all'altezza delle loro apparecchiature portatili. I libri comunque erano di autori e autrici locali, ed erano anche in vendita, così ne ho comprato qualcuno. Le ragazze che gestivano il locale erano molto gentili, mi hanno raccontato la sua storia, io ho raccontato loro la storia delle mie scarpe e di come sono arrivate in Uruguay; ora, mio nonno diceva sempre che bisogna parlare con la gente guardandola negli occhi, e aveva ragione perché ogni volta che lo faccio mi succede qualcosa di meraviglioso. Le ragazze che vedete nella foto insieme a me mi hanno dato il numero del direttore di una rivista letteraria su cui, se mi va, posso far pubblicare la versione spagnola del saggio sulla felicità: lo contatterò la settimana prossima, fino a lunedì qui è tutto chiuso per la settimana santa, anche per chi non è un santo. L'autore del libro illustrato che ho comprato per mia sorella, Anna, si chiama Dario Parrissi: Anna è ormai una signorina, legge moltissimo, infatti si esprime già come una persona adulta. Comunque, appena il saggio sarà pubblicato, faremo un presentazione presso il bar delle ragazze che vedete nella foto. Mi interessa molto la rivista che mi hanno segnalato soprattutto perché è distribuita gratuitamente nei locali e nelle librerie!
Da Maldonado abbiamo preso un altro autobus e siamo andati
in un paesino ancora più piccolo, San Carlos, dove c'è un
cimitero indiano. Quello che mi incuriosiva era il perché questo cimitero si trovasse sul retro di una chiesa cristiana. 79 lapidi del 1800 in un giardino che sembra un orto, all'ombra della chiesa, ospiti ete
rni dei cristiani, e non si può chiedere loro se stanno gradendo il soggiorno.
Per riflettere sugli indiani e sull'evangelizzazione di queste terre che - credetemi - è ancora in corso, se prendiamo in esame quelli che ti fermano per strada e ti domandano se credi in Dio, non c'era nulla di meglio che mangiare un gelato: e ora vi spiego il mistero della panna montata!
Siamo entrati in una piccola gelateria, di fronte alla chiesa, una ragazza sorrideva con la bocca chiusa, un'altra serviva i gelati, e una terza, che doveva essere il loro capo, le osservava con le mani nelle tasche del grembiule. Un cono con due gusti, di fronte alla chiesa di San Carlos, in Uruguay, costa 92 pesos, circa tremila lire. Mango e frutilla, le scarpe di cui vi ho parlato mi facevano bollire davanti a quei gelati, se consideriamo che sono scarpe invernali e che oggi a San Carlos, secondo il telefonino di ultima generazione di Henry, c'erano 28 gradi all'ombra. Mentre la ragazza che sorrideva con la bocca chiusa mi allungava il mio cono da 92 pesos le ho chiesto di aggiungere un po' di panna! Tutte e tre si sono paralizzate, il capo ha guardato con severità la ragazza che sorrideva con la bocca chiusa, l'altra è rimasta con la paletta a mezz'aria e mi ha detto: mi dispiace, non posso. Perché non puoi?, ti pago la differenza! Non posso perché la panna è prevista soltanto per gli altri coni, vedi, quelli a forma di barchetta. Ho capito, ma un cono con tre gusti costa 100 pesos, quindi ti do la differenza di 8 pesos e tu mi dai un po' di panna. Mi dispiace; ha guardato di nuovo il suo capo, era di ghiaccio, principessa del male, e mi ha ripetuto: non posso proprio, mi dispiace ma non è previsto dalle procedure, posso cambiarlo se vuoi. Come, cambiarlo?!, non è un paio di pantaloni, non voglio che butti questo cono per darmene un altro!, lo sai dove sono stato la settimana scorsa? No, mi ha risposto lei, sempre con la sua paletta in mano. In una bidon-ville, ho visto l'interno delle case di ferro, che d'inverno diventano frigoriferi e d'estate forni crematori, i bambini non possono andare a scuola perché di mattina si svegliano congelati, e quando il calore del sole riscalda un po' il tetto fatto di lamiere tutta l'umidità raccolta durante la notte inizia a colare sui loro letti. Questo che c'entra con la panna?, mi ha chiesto la gelataia. Nulla, mi andava di raccontarlo a qualcuno, e una che non vuole darmi un po' di panna mi è sembrata la persona giusta.
Ora, bisogna considerare che un poveretto con un gelato al mango e fruttilla senza la panna avrebbe il diritto di protestare formalmente, chiamare i servizi pubblici, i pompieri se necessario, la polizia, il telefono azzurro, se non ha la sua panna. Io però ho cercato di rimanere razionale e ho proposto una soluzione alternativa: quanto costa un vasetto solo con la panna?, le ho chiesto. Non si può vendere un vasetto solo con la panna, mi ha risposto. Ma insomma!, che cosa devo fare per avere un po' di panna in questo paese???
Henry allora mi ha messo una mano attorno alle spalle, dolcemente, come si fa con i pazzi, e mi ha sussurrato: andiamo, dai, non c'è nulla da fare... Ma io volevo soltanto un po' di panna, è lì, guarda, in quel barattolo di alluminio! Lo so Frank, ma non c'è più nulla da fare, dai, vieni...
La mia panna è rimasta a San Carlos, mentre mi allontanavo sull'autobus e mi domandavo perché al mondo esistessero tante procedure e tanta malvagità: io volevo soltanto un po' di panna e la panna è rimasta nel barattolo di alluminio per una ragione che rimarrà sempre un mistero; sono sicuro che a quest'ora ne avranno buttata via un sacco altrimenti sarebbe diventata acida. Ero un uomo distrutto e senza la panna.
Bene, vi descriverò un altro paesino, un paio al massimo, ma non di più altrimenti mentre aspettiamo la dichiarazione d'amore del ministero rischiamo di trasformare queste note di viaggio in una guida turistica, sebbene la nostra ricerca sia fatta anche di posti e non soltanto di parole.
Stasera siamo a Rocha, in un albergo che ha compiuto 106 anni il mese scorso. Nella hall e nel patio interno sono esposti i quadri enormi di James Mulleady, uno che da Los Angeles è venuto a vivere qui, nella sierra, e ha messo su una comunità di artisti. Voi siete degli artisti?, ci ha chiesto Annamaria, la direttrice. Io le ho risposto in inglese e ho fatto l'occhiolino a Henry, il quale è stato al gioco e ha detto: vede, questo qui è un famoso pittore americano, si chiama Lord Abraham Gal, è venuto apposta per incontrare il suo collega James. Oh, sure, this is nice! Do you like it? I love them!

Rocha è un paese piccolo, ma è il capoluogo del dipartimento, ci sono tutti gli uffici, fanno un buon arrosto, abbiamo mangiato asado chorizos nell'Americano, ce lo ha suggerito Annamaria per non farmi sentire la nostalgia della California, e nella piazza principale ci sono i bar dove bisogna dividersi le sedie con i cani, sono cani gentili ma pieni di pulci, può andare bene per uno che porta le stesse scarpe da due anni, ma per chi di voi stesse cercando una meta turistica più élite, non credo.

15 aprile – La Semana del turismo

Tutto fermo per la settimana santa, che, essendo questo un Paese laico, chiamano settimana del turismo e che, non essendo io né credente né turista, mi ha fatto incazzare perché dovrò aspettare fino a lunedì prossimo per andare al MEC a ritirare la dichiarazione di interesse della quale vi ho parlato nelle scorse note, note che a quanto pare stanno per volgere al termine...
Ho in mano una cartina dell'Uruguay, approfitto delle ferie forzate e prendo un autobus per andare a visitare la costa Est, dove ci sono dei paesini di pescatori in cui di sicuro cucinano la frittura di pesce, che mi manca tanto. Da quando sono arrivato, mangio carne tutti i giorni perché costa poco e perché è la cosa più sana che ho trovato, in tutto il resto delle pietanze c'è lo zucchero! Montevideo è una città molto dolce.
Su questa mappa presa in porto, vi dicevo, ho segnato qualche nome e qualche indirizzo che mi hanno segnalato gli amici, se sarò fortunato incontrerò un vecchio anarchico che me ne racconterà di cotte e di crude sulla dittatura militare di cui mi sono occupato per scrivere il saggio, che, tuttavia, non sarà affatto un saggio storico, anzi, detto tra noi, non sarà neanche un vero saggio, ma un testo unico nel suo genere, come è giusto che sia ogni testo scritto da che mondo è mondo!
Vi mostrerò anche altre fotografie che dimostreranno – almeno lo spero – l'enorme dualismo in cui vivono gli uruguaiani, ricchezza e miseria, e, badate bene, parliamo di miseria e non di povertà, perché tra le due condizioni c'è una sostanziale differenza che potremmo ricondurre alla parola speranza: nella prima non c'è voglia di migliorarsi, non si conosce la speranza, non la si necessita affatto; la seconda, al contrario, che è quella conosciuta dalla mia famiglia, la cui storia mi ha reso quello che sono, si fonda sulla speranza, sulla ricerca di un miglioramento e di una rivalsa sociale e culturale. Ecco, la miseria che ho visto nelle bidonville di Montevideo è intellettuale, ed è sufficiente a se stessa, negli occhi azzurri dei bambini con le facce sporche non c'era voglia di migliorarsi, di cercarsi una vita migliore, o di scoprire cosa c'è oltre il quartiere dell'ippodromo, perché i loro genitori non glielo hanno insegnato.
Devo scusarmi con i lettori, perché non ho fotografato le case di cartone, purtroppo non ne ho avuto il coraggio: chi vuole capirmi, mi capirà. Come ho detto al Presidente quando l'ho incontrato, io non sono un giornalista, per grazia di Dio, ho soltanto scritto sui giornali, ma poi sono fuggito da quel mondo; il mio mestiere è cercare storie e raccontarle, non rubare la dignità della gente fotografandola mentre si sazia con il mate e lo zucchero...

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