Continuiamo a seguire Frank!
Ecco le sue note di viaggio del 19 marzo.
19 marzo - La
mentalità del más o menos
Passo davanti
all'edificio grigio del Macabi, un centro di cultura ebraica, su
plaza de España, riflettendo sulle bizzarre giravolte dei cognomi che mutano di generazione in generazione, come nel caso della mia
famiglia, durante le persecuzioni, quando il rabbino Yudice trasformò
il suo nome in Giudice, poi Lo Giudice e infine Lo Iodice e Iodice, e
arrivo al MEC, che, come vi ho detto, non è un computer enorme ma il
Ministero dell'Educazione e della Cultura.
A quanto
pare, il nostro progetto è stato inviato qui, ci sono tre
receptioniste vestite di nero, chiedo a quella di mezzo, mi sento
come davanti alle tre porte del gioco dei castelli. Sono venuto a
cercare i miei documenti, nella segreteria della Presidenza mi hanno
detto che li hanno mandati qui e io vorrei sapere per quale motivo,
forse perché si tratta di un progetto dedicato principalmente ai
giovani. Di che progetto si tratta? Di un saggio sulla felicità. E
dov'è? Nel mio zainetto da duecento pesos che porto sempre sulla
spalla da quando sono arrivato. Posso vedere la ricevuta della
Presidenza? Questo foglietto è l'unica cosa che mi hanno dato. Ed è
vero, pensandoci bene, ho soltanto quello. Salga al primo piano,
nell'ufficio incartamenti, lì le diranno dov'è finito il suo
saggio, di cosa ha detto che si tratta? Di felicità, ma il saggio lo
sto ancora scrivendo, è qui nella borsa. Allora cos'è che cerca? La
presentazione, le lettere che il mio editore e io abbiamo spedito qui
prima che io partissi, ho stampato tutto e l'ho consegnato nella
segreteria della Presidenza la settimana scorsa, persino insieme alle
loro risposte, e loro hanno detto di averlo mandato qui. Ho capito,
vada al primo piano. Nell'ufficio incartamenti. Esatto!
Una signora
simpatica che assomiglia a mia zia Maria mi chiede di vedere il
foglietto sul quale c'è scritto il numero di protocollo e poco più.
Vieni con me, mi dice, io sto andando proprio lì, telefoniamo in
Presidenza per vedere a chi hanno mandato i tuoi documenti.
Posso portare
anche loro? Loro, chi? I miei amici, mi hanno accompagnato. Leticia,
la proprietaria dell'appartamento in cui vivo, e Henry, il
venezuelano con il quale gioco a baseball nel Parque Rivera, sono
saliti con me, si sentiva la puzza degli ospedali puliti, che è
sempre meglio di quella degli ospedali sporchi.
Al primo
piano, oltre alla signora simpatica che assomiglia alla zia Maria,
c'erano altri impiegati, i quali si sono subito appassionati alla
ricerca del nostro progetto. Sei sicuro che non avesse un titolo? chi
ti ha dato questo numero? Cristina, la segretaria al meno uno, nel
palazzo della Presidenza. Qui non c'è niente... Anche un'altra
signora simpatica che assomiglia a mia zia Maria si appassiona alla
ricerca, è una specie di ricerca della felicità. Ogni volta che
entra qualcuno nell'ufficio, mi chiede: di cosa parla questo saggio?
Io rispondo: della felicità, una, due, quattro volte in tutto,
purché mi spieghino come mai i miei documenti si trovano qui. Dico a
Henry: mi sembra l'ufficio del Comune di Napoli... Ma Henry è
venezuelano e a Napoli non c'è mai stato. La signora simpatica che
assomiglia alla zia Maria mi chiede di aspettare, vuole telefonare in
segreteria per capire da dove arrivi quel foglietto. Mentre lei parla
con tanta gente, forse anche con suo marito per dirgli che oggi il
mate lo compra lei, o con sua figlia per ordinarle di togliersi quel
piercing sulla bocca perché non si capisce più quello che dice, io
racconto all'altra zia Maria che sono arrivato a Montevideo da
qualche settimana con un biglietto di sola andata perché non sapevo
quanto tempo sarebbe servito per realizzare il nostro progetto, ma,
da quello che vedo, credo che ce ne vorrà più del previsto, e
comunque, le rivelo, io non torno in Europa senza aver incontrato el
Pepe e aver ricevuto la sua personale benedizione perché il vostro
permesso o il permesso della segreteria non mi bastano. Zia Maria
mette le mani sotto il mento mentre mi ascolta. Come fai a tornare?
Non l'ho ancora preso in considerazione, ora sono qui per scrivere
questo saggio, procediamo per gradi.
Del dossier
nessuna traccia. Benvenuto al Ministero! per fortuna non hai
consegnato anche il saggio, mi dice Leticia. Ma il saggio non uscirà
da questo quaderno fino a quando non incontrerò il Presidente! le
rispondo. Dopo mezz'ora della quale mi sembra superfluo fare la
telecronaca, giacché tutti siete stati almeno una volta in un
ufficio pubblico della vostra città, e non pensate che in America le
cose cambino, la prima zia Maria ha già preso diverse note sul retro
del foglietto col numero di protocollo fantasma, mi chiede se la
persona che me lo ha dato si chiami Pablo perché sta chiedendo di
lui, ma Pablo è un nome qualsiasi che ho scritto io assieme ad altre
note personali. Quando me lo restituisce, sorride e promette che mi
ricontatterà personalmente appena dalla segreteria le faranno sapere
qualcosa, mi dà il suo numero e il suo nome, Adriana, non Maria, ma
io continuerò a chiamarla Maria. Sto andando via, pensando alle
prossime mosse, e mi fermano per chiedermi se ho con me una copia
della lettera o del resto dei documenti. Certo, è tutto qui, nella
chiave di memoria che porto sempre appesa al collo, San Bernardo
delle Alpi Marittime. Passo dall'altra parte e uso il computer della
seconda zia Maria per stampare di nuovo la lettera ufficiale scritta
con Lupo e con la sindaco Ada Fiore almeno per lasciare loro qualche
scartoffia in più. Negli uffici pubblici di tutto il mondo hanno
passione per la polvere e per le scartoffie, che devono provocare
dipendenza.
Non usciamo
subito, prima vogliamo provare un'altra strada, pare che Leticia una
volta conoscesse il segretario del ministro della Cultura Oscar
Gomez, un certo Fernando che forse può aiutarci. Il suo ufficio è
al settimo, ma per arrivare al settimo bisogna prendere un altro
ascensore, è uno di quei sistemi a numeri alterni, pari o dispari.
Al settimo non c'è nessuno, scendiamo parlando dei bambini, le
nostre voci nell'ascensore hanno una eco simile a quella dell'asilo
nido di rue Emmanuel Philibert, davanti al quale passo sempre quando
vado in giro per il porto, e che mi manca più delle mie piante e
della mia compagna Anisetta. Anisetta è il nome della protagonista
di uno dei miei romanzi, ma chiamo così la mia ragazza quando ho
voglia di scherzare come adesso. Lei mi sta aspettando, è a Nice a
prendersi cura delle piante e dei miei libri, lavora come guida
turistica per una compagnia americana, è in gamba la mia
Anisetta, quando sono partito ha fatto finta di ridere, non voleva
mostrarmi le lacrime, io le ho promesso di tornare con il miglior
libro della mia vita, e le ho promesso anche un'altra cosa che non
posso rivelarvi perché in queste note stiamo parlando di altro. Ogni
sera ci sentiamo e le racconto quello che sto raccontando a voi,
parliamo anche di altre cose ma a voi non interesseranno, sono cose
private.
Infine,
davanti alla porta d'ingresso, abbiamo incontrato Fernando, un
ragazzo alto e serio, con barba simmetrica come quella dei barbieri
che non hanno clienti. Una volta ho conosciuto un barbiere che non
aveva mai clienti e passava il tempo ad aggiustarsi la barba in forme
geometriche sempre più complicate. Comunque, Fernando capisce quello
che è successo, e il fatto che scuota la testa può voler dire due
cose: a) ci è abituato, oppure b) mi odia perché gli ho fatto
perdere l'ascensore per il settimo bloccandolo sulla soglia. Le mie
impressioni come al solito sono fantastiche, la realtà è sempre
meno complicata di come la ricostruisco io nella mia testa. Infatti
il buon Fernando mi dà il suo indirizzo elettronico personale e il
suo numero privato. Il segretario del ministro della Cultura e lo
sconosciuto che lo ferma sulla porta del Ministero... Pare che la mia
email sia stata trasferita qui, gli spiego, ma non hanno idea di dove
siano i documenti. Mandami tutto e io farò in modo di risolvere il
tuo problema. Ti ringrazio, si tratta dei bambini, capisci, tanti
bambini che non posso deludere. Ho capito, ho capito, non
preoccuparti Francisco.
A quanto
pare, Fernando conosce personalmente il Presidente, forse sarà lui a
presentarmelo!
Per pranzo,
el almuerzo, mangiamo una di quelle frittelle che non posso
trasformare in parole neanche se la spalmassi sulla carta per fondere
i due universi sensoriali, quello della mente e quello dello stomaco,
che pure è importante nutrire di tanto in tanto. Alle spalle di
plaza de España, che è anche la piazza dove arrivano tutti gli
autobus della città, ci sono dei chioschi dove vendono le
frittelle... E le frittelle mi fanno dimenticare la felicità per
pochi minuti, fino a quando le dita da leccare finiscono.
Appena arrivo
a casa, scrivo a Fernando, gli spiego di nuovo tutto e allego i vari
documenti. Concludo la lettera elettronica con la seguente frase: En
cuanto al ensayo, apenas la versión española esté lista, me
gustaría dárselo al señor Presidente en persona y conversar con él
sobre este tema.
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