venerdì 4 aprile 2014

Dal diario di Frank Iodice: 19 marzo 2014

Continuiamo a seguire Frank!
Ecco le sue note di viaggio del 19 marzo.

19 marzo - La mentalità del más o menos

Passo davanti all'edificio grigio del Macabi, un centro di cultura ebraica, su plaza de España, riflettendo sulle bizzarre giravolte dei cognomi che mutano di generazione in generazione, come nel caso della mia famiglia, durante le persecuzioni, quando il rabbino Yudice trasformò il suo nome in Giudice, poi Lo Giudice e infine Lo Iodice e Iodice, e arrivo al MEC, che, come vi ho detto, non è un computer enorme ma il Ministero dell'Educazione e della Cultura.
A quanto pare, il nostro progetto è stato inviato qui, ci sono tre receptioniste vestite di nero, chiedo a quella di mezzo, mi sento come davanti alle tre porte del gioco dei castelli. Sono venuto a cercare i miei documenti, nella segreteria della Presidenza mi hanno detto che li hanno mandati qui e io vorrei sapere per quale motivo, forse perché si tratta di un progetto dedicato principalmente ai giovani. Di che progetto si tratta? Di un saggio sulla felicità. E dov'è? Nel mio zainetto da duecento pesos che porto sempre sulla spalla da quando sono arrivato. Posso vedere la ricevuta della Presidenza? Questo foglietto è l'unica cosa che mi hanno dato. Ed è vero, pensandoci bene, ho soltanto quello. Salga al primo piano, nell'ufficio incartamenti, lì le diranno dov'è finito il suo saggio, di cosa ha detto che si tratta? Di felicità, ma il saggio lo sto ancora scrivendo, è qui nella borsa. Allora cos'è che cerca? La presentazione, le lettere che il mio editore e io abbiamo spedito qui prima che io partissi, ho stampato tutto e l'ho consegnato nella segreteria della Presidenza la settimana scorsa, persino insieme alle loro risposte, e loro hanno detto di averlo mandato qui. Ho capito, vada al primo piano. Nell'ufficio incartamenti. Esatto!
Una signora simpatica che assomiglia a mia zia Maria mi chiede di vedere il foglietto sul quale c'è scritto il numero di protocollo e poco più. Vieni con me, mi dice, io sto andando proprio lì, telefoniamo in Presidenza per vedere a chi hanno mandato i tuoi documenti.
Posso portare anche loro? Loro, chi? I miei amici, mi hanno accompagnato. Leticia, la proprietaria dell'appartamento in cui vivo, e Henry, il venezuelano con il quale gioco a baseball nel Parque Rivera, sono saliti con me, si sentiva la puzza degli ospedali puliti, che è sempre meglio di quella degli ospedali sporchi.
Al primo piano, oltre alla signora simpatica che assomiglia alla zia Maria, c'erano altri impiegati, i quali si sono subito appassionati alla ricerca del nostro progetto. Sei sicuro che non avesse un titolo? chi ti ha dato questo numero? Cristina, la segretaria al meno uno, nel palazzo della Presidenza. Qui non c'è niente... Anche un'altra signora simpatica che assomiglia a mia zia Maria si appassiona alla ricerca, è una specie di ricerca della felicità. Ogni volta che entra qualcuno nell'ufficio, mi chiede: di cosa parla questo saggio? Io rispondo: della felicità, una, due, quattro volte in tutto, purché mi spieghino come mai i miei documenti si trovano qui. Dico a Henry: mi sembra l'ufficio del Comune di Napoli... Ma Henry è venezuelano e a Napoli non c'è mai stato. La signora simpatica che assomiglia alla zia Maria mi chiede di aspettare, vuole telefonare in segreteria per capire da dove arrivi quel foglietto. Mentre lei parla con tanta gente, forse anche con suo marito per dirgli che oggi il mate lo compra lei, o con sua figlia per ordinarle di togliersi quel piercing sulla bocca perché non si capisce più quello che dice, io racconto all'altra zia Maria che sono arrivato a Montevideo da qualche settimana con un biglietto di sola andata perché non sapevo quanto tempo sarebbe servito per realizzare il nostro progetto, ma, da quello che vedo, credo che ce ne vorrà più del previsto, e comunque, le rivelo, io non torno in Europa senza aver incontrato el Pepe e aver ricevuto la sua personale benedizione perché il vostro permesso o il permesso della segreteria non mi bastano. Zia Maria mette le mani sotto il mento mentre mi ascolta. Come fai a tornare? Non l'ho ancora preso in considerazione, ora sono qui per scrivere questo saggio, procediamo per gradi.
Del dossier nessuna traccia. Benvenuto al Ministero! per fortuna non hai consegnato anche il saggio, mi dice Leticia. Ma il saggio non uscirà da questo quaderno fino a quando non incontrerò il Presidente! le rispondo. Dopo mezz'ora della quale mi sembra superfluo fare la telecronaca, giacché tutti siete stati almeno una volta in un ufficio pubblico della vostra città, e non pensate che in America le cose cambino, la prima zia Maria ha già preso diverse note sul retro del foglietto col numero di protocollo fantasma, mi chiede se la persona che me lo ha dato si chiami Pablo perché sta chiedendo di lui, ma Pablo è un nome qualsiasi che ho scritto io assieme ad altre note personali. Quando me lo restituisce, sorride e promette che mi ricontatterà personalmente appena dalla segreteria le faranno sapere qualcosa, mi dà il suo numero e il suo nome, Adriana, non Maria, ma io continuerò a chiamarla Maria. Sto andando via, pensando alle prossime mosse, e mi fermano per chiedermi se ho con me una copia della lettera o del resto dei documenti. Certo, è tutto qui, nella chiave di memoria che porto sempre appesa al collo, San Bernardo delle Alpi Marittime. Passo dall'altra parte e uso il computer della seconda zia Maria per stampare di nuovo la lettera ufficiale scritta con Lupo e con la sindaco Ada Fiore almeno per lasciare loro qualche scartoffia in più. Negli uffici pubblici di tutto il mondo hanno passione per la polvere e per le scartoffie, che devono provocare dipendenza.
Non usciamo subito, prima vogliamo provare un'altra strada, pare che Leticia una volta conoscesse il segretario del ministro della Cultura Oscar Gomez, un certo Fernando che forse può aiutarci. Il suo ufficio è al settimo, ma per arrivare al settimo bisogna prendere un altro ascensore, è uno di quei sistemi a numeri alterni, pari o dispari. Al settimo non c'è nessuno, scendiamo parlando dei bambini, le nostre voci nell'ascensore hanno una eco simile a quella dell'asilo nido di rue Emmanuel Philibert, davanti al quale passo sempre quando vado in giro per il porto, e che mi manca più delle mie piante e della mia compagna Anisetta. Anisetta è il nome della protagonista di uno dei miei romanzi, ma chiamo così la mia ragazza quando ho voglia di scherzare come adesso. Lei mi sta aspettando, è a Nice a prendersi cura delle piante e dei miei libri, lavora come guida turistica per una compagnia americana, è in gamba la mia Anisetta, quando sono partito ha fatto finta di ridere, non voleva mostrarmi le lacrime, io le ho promesso di tornare con il miglior libro della mia vita, e le ho promesso anche un'altra cosa che non posso rivelarvi perché in queste note stiamo parlando di altro. Ogni sera ci sentiamo e le racconto quello che sto raccontando a voi, parliamo anche di altre cose ma a voi non interesseranno, sono cose private.
Infine, davanti alla porta d'ingresso, abbiamo incontrato Fernando, un ragazzo alto e serio, con barba simmetrica come quella dei barbieri che non hanno clienti. Una volta ho conosciuto un barbiere che non aveva mai clienti e passava il tempo ad aggiustarsi la barba in forme geometriche sempre più complicate. Comunque, Fernando capisce quello che è successo, e il fatto che scuota la testa può voler dire due cose: a) ci è abituato, oppure b) mi odia perché gli ho fatto perdere l'ascensore per il settimo bloccandolo sulla soglia. Le mie impressioni come al solito sono fantastiche, la realtà è sempre meno complicata di come la ricostruisco io nella mia testa. Infatti il buon Fernando mi dà il suo indirizzo elettronico personale e il suo numero privato. Il segretario del ministro della Cultura e lo sconosciuto che lo ferma sulla porta del Ministero... Pare che la mia email sia stata trasferita qui, gli spiego, ma non hanno idea di dove siano i documenti. Mandami tutto e io farò in modo di risolvere il tuo problema. Ti ringrazio, si tratta dei bambini, capisci, tanti bambini che non posso deludere. Ho capito, ho capito, non preoccuparti Francisco.
A quanto pare, Fernando conosce personalmente il Presidente, forse sarà lui a presentarmelo!
Per pranzo, el almuerzo, mangiamo una di quelle frittelle che non posso trasformare in parole neanche se la spalmassi sulla carta per fondere i due universi sensoriali, quello della mente e quello dello stomaco, che pure è importante nutrire di tanto in tanto. Alle spalle di plaza de España, che è anche la piazza dove arrivano tutti gli autobus della città, ci sono dei chioschi dove vendono le frittelle... E le frittelle mi fanno dimenticare la felicità per pochi minuti, fino a quando le dita da leccare finiscono.
Appena arrivo a casa, scrivo a Fernando, gli spiego di nuovo tutto e allego i vari documenti. Concludo la lettera elettronica con la seguente frase: En cuanto al ensayo, apenas la versión española esté lista, me gustaría dárselo al señor Presidente en persona y conversar con él sobre este tema.

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