giovedì 17 aprile 2014

Dal diario di Frank Iodice: 1 aprile 2014

1 aprile – Dittature e dittature

C'è una cosa di cui nessuno parla riguardo alle dittature militari: l'Uruguay è un Paese molto piccolo, tre volte la Svizzera, tre milioni di abitanti dei quali uno e mezzo a Montevideo, un Paese, quindi, nel quale si può incontrare una persona più volte in un giorno, ma cosa succede se questa persona è la stessa che ti ha violentato vent'anni fa?!
In un bar di Calle Canelones, sotto l'ombra fresca della parrocchia di San José, incontro la signora Titi, che chiamerò così perché Titi è un bel nome e perché le ho promesso di scegliere un bel nome. Non mi rivela la sua età, ma allo stesso tempo non nasconde né le rughe né i capelli bianchi, porta una camicetta gialla con i girasoli, ha i seni grandi come tutte le signore di Montevideo, che è una città di belle ragazze con i seni grandi, ma questa è solo un'osservazione di uno che ha molta nostalgia di quelli della sua fidanzata, che sono lontani più di undicimila chilometri, quindi non è un'osservazione attendibile. Ritorno serio, sollevo la vista e mi accorgo che in fondo alla strada in discesa, a due quadre dal bar, c'è il mare, che oggi non è scuro come al solito ma di un azzurro intenso che tanta gente deve aver già descritto a quest'ora del pomeriggio.
Titi mi racconta che negli anni Settanta finivano tutti in carcere, chi a lungo, chi solo per un giorno, eravamo prigionieri politici, anarchici, ribelli, fanatici, eravamo tutti pazzi perché non avevamo altra scelta, mi racconta, la dittatura ti rende pazzo! Molte sue coetanee sono state violentate e torturate in quegli anni, fino all'Ottantacinque, mi dice, fino all'altro ieri! Quello che in Europa non immaginiamo è che oggi le amiche di Titi sono costrette a incrociare per strada i loro carnefici, gli stessi che quando erano ragazze hanno abusato di loro più e più volte, senza giustificazione se non quella della crudeltà lecita quando eri dell'Intelligenza, i Servizi Segreti. In generale erano loro quelli specializzati nelle torture, formati in Panama dai militari francesi. Titi confessa di odiare i francesi, ha le sue ragioni, non posso darle torto, mi racconta che al supermercato puoi incontrare l'uomo che ti ha picchiata quando eri in carcere, puoi incrociarti con lui in ascensore o vederlo seduto al bar a prendere un caffè, a godersi una pensione molto più consistente della tua, dopo una brillante carriera militare!
Le chiedo come può sopportare una cosa del genere, Titi ride forte, a Montevideo tutti ridono forte, e mi risponde: mi hijo, in Uruguay si è fermato il tempo per la metà di noi, siamo tutti in attesa che gli orologi riprendano a funzionare. Sui polsi dei politici ci sono buoni orologi?, le chiedo. Molto buoni, risponde Titi con un sospiro. Il nostro caffè è già finito, lo abbiamo bevuto bollente perché quando ti abitui al mate perdi la sensibilità della lingua, Titi mi guarda con la premura di una madre che ho lasciato tante volte e altrettante volte ho ritrovato in giro per il mondo, mi spiega che ricominciare dai brandelli della propria dignità per diventare di nuovo donna non è stato
facile, e che qualche volta avrebbe voluto uccidere con le proprie mani quell'uomo che ha riconosciuto nel supermercato o nell'ascensore del suo stesso palazzo, ma poi, saggiamente, aggiunge: non servirebbe a niente, dopo aver inventato la cosiddetta legge dei due diavoli – una sorta di patto grazie al quale quanto era accaduto durante la dittatura doveva essere dimenticato per non generare una nuova guerra fatta di
Quartiere del Cerro
vendette – abbiamo dovuto tutti rinunciare alla 
prima metà della nostra vita. Qual è stato il momento più difficile?, le chiedo. Quello in cui ho deciso di raccontarlo ai miei figli.
Ho incontrato Titi mentre ritornavo dal quartiere del Cerro, dove vive il Presidente Mujica, volevo vedere la sua gente per descriverla un giorno in qualche romanzo, le descrizioni più belle sono quelle che sopravvivono nel ricordo. Un giorno o l'altro però, non oggi, perché oggi non riesco a pensare ad altro che ai girasoli e a quanto bisogna essere malvagi per strapparli e schiacciarli sul pavimento di una cella.

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