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aprile – Dittature e dittature
C'è
una cosa di cui nessuno parla riguardo alle dittature militari:
l'Uruguay è un Paese molto piccolo, tre volte la Svizzera, tre
milioni di abitanti dei quali uno e mezzo a Montevideo, un Paese,
quindi, nel quale si può incontrare una persona più volte in un
giorno, ma cosa succede se questa persona è la stessa che ti ha
violentato vent'anni fa?!
In
un bar di Calle Canelones, sotto l'ombra fresca della parrocchia di
San José, incontro la signora Titi, che chiamerò così perché Titi
è un bel nome e perché le ho promesso di scegliere un bel nome. Non
mi rivela la sua età, ma allo stesso tempo non nasconde né le rughe
né i capelli bianchi, porta una camicetta gialla con i girasoli, ha
i seni grandi come tutte le signore di Montevideo, che è una città
di belle ragazze con i seni grandi, ma questa è solo un'osservazione
di uno che ha molta nostalgia di quelli della sua fidanzata, che sono
lontani più di undicimila chilometri, quindi non è un'osservazione
attendibile. Ritorno serio, sollevo la vista e mi accorgo che in
fondo alla strada in discesa, a due quadre dal bar, c'è il mare, che
oggi non è scuro come al solito ma di un azzurro intenso che tanta
gente deve aver già descritto a quest'ora del pomeriggio.
Titi
mi racconta che negli anni Settanta finivano tutti in carcere, chi a
lungo, chi solo per un giorno, eravamo prigionieri politici,
anarchici, ribelli, fanatici, eravamo tutti pazzi perché non avevamo
altra scelta, mi racconta, la dittatura ti rende pazzo! Molte sue
coetanee sono state violentate e torturate in quegli anni, fino
all'Ottantacinque, mi dice, fino all'altro ieri! Quello che in Europa
non immaginiamo è che oggi le amiche di Titi sono costrette a
incrociare per strada i loro carnefici, gli stessi che quando erano
ragazze hanno abusato di loro più e più volte, senza
giustificazione se non quella della crudeltà lecita quando eri
dell'Intelligenza, i Servizi Segreti. In generale erano loro quelli
specializzati nelle torture, formati in Panama dai militari francesi.
Titi confessa di odiare i francesi, ha le sue ragioni, non posso
darle torto, mi racconta che al supermercato puoi incontrare l'uomo
che ti ha picchiata quando eri in carcere, puoi incrociarti con lui
in ascensore o vederlo seduto al bar a prendere un caffè, a godersi
una pensione molto più consistente della tua, dopo una brillante
carriera militare!
Le
chiedo come può sopportare una cosa del genere, Titi ride forte, a
Montevideo tutti ridono forte, e mi risponde: mi hijo, in
Uruguay si è fermato il tempo per la metà di noi, siamo tutti in
attesa che gli orologi riprendano a funzionare. Sui polsi dei
politici ci sono buoni orologi?, le chiedo. Molto buoni, risponde
Titi con un sospiro. Il nostro caffè è già finito, lo abbiamo
bevuto bollente perché quando ti abitui al mate perdi la sensibilità
della lingua, Titi mi guarda con la premura di una madre che ho
lasciato tante volte e altrettante volte ho ritrovato in giro per il
mondo, mi spiega che ricominciare dai brandelli della propria dignità
per diventare di nuovo donna non è stato
facile, e che qualche volta
avrebbe voluto uccidere con le proprie mani quell'uomo che ha
riconosciuto nel supermercato o nell'ascensore del suo stesso
palazzo, ma poi, saggiamente, aggiunge: non servirebbe a niente, dopo
aver inventato la cosiddetta legge dei due diavoli – una sorta di
patto grazie al quale quanto era accaduto durante la dittatura doveva
essere dimenticato per non generare una nuova guerra fatta di
vendette – abbiamo dovuto tutti rinunciare alla prima metà della
nostra vita. Qual è stato il momento più difficile?, le chiedo.
Quello in cui ho deciso di raccontarlo ai miei figli.
Quartiere del Cerro |
Ho
incontrato Titi mentre ritornavo dal quartiere del Cerro, dove vive
il Presidente Mujica, volevo vedere la sua gente per descriverla un
giorno in qualche romanzo, le descrizioni più belle sono quelle che
sopravvivono nel ricordo. Un giorno o l'altro però, non oggi, perché
oggi non riesco a pensare ad altro che ai girasoli e a quanto bisogna
essere malvagi per strapparli e schiacciarli sul pavimento di una
cella.
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