venerdì 27 dicembre 2013

L'amabile Matisse

È incredibile a credersi come Matisse, amabile cucciolo di yorkshire, dia a noi umani lezioni di vita, di galateo, di norme da introiettare, sottolineando la relazione di diritto- dovere che lo lega alla sua padrona, metafora e metonimia della vita sociale e del rapporto tra genitori e figli.

Si deve aver rispetto dell’altro, amare ed essere generosi nella vita” proprio come scrive Tiziana Cazzato in Matisse a quattro zampe (Lupo Editore 2013): questa la morale che si evince dal testo il cui protagonista è appunto Matisse, che racconta in prima persona la sua storia. Adottato a una famiglia composta da due donne, il cagnolino è metafora di una vita vissuta in totale presenza di responsabilità, gioia di vivere, estro, eleganza, bon ton, una vita colorata dalla sua energia vitale, una vita che porta il nome del pittore Matisse, che quindi è degna di essere vissuta perché è come se il cane possedesse quella forza interiore che talora manca agli umani, che gli dà modo di cogliere l’esistenza in tutte le sfumature di colori.

Una favola bella che sprizza energia positiva da tutti i pori, una gioia di vivere inarrestabile in un racconto dallo stile amabile, elegante e di utile fruizione attraverso le parole di un cagnolino prezioso, affettuoso, rispettoso di sé e del prossimo: il cagnolino che tutti vorremmo avere.

Arriva questo piccolo cucciolo in casa di una signora e della figlia che chiama simpaticamente signorina Gambalunga. Qui Matisse si abitua volentieri perché si tratta di persone buone e affettuose e perché la madre gli ha insegnato che “i figli non appartengono ai genitori, ma che hanno il dovere e il diritto di costruire una loro vita”.
Il testo spiega cosa succede in una casa all’arrivo di un quattro zampe: gioia infinità, curiosità, allegria, soprattutto se quel cucciolo si chiama Matisse, simpatico, intraprendente, un po’ presuntuoso perché sa di non essere un cane qualsiasi, ma un cane nato per portare vita dove c’è apatia, rinascita spirituale dove le anime si sono addormentate; per questo decide di farsi giramondo.

Interessante libro che, come tutti i libri per l’infanzia della Lupo editore ,è adatto anche agli adulti, da leggere in famiglia per rafforzare il rapporto genitori-figli, a scuola per consolidare la relazione docente-discente, per famigliarizzare con il senso di responsabilità e con lo spirito di intraprendenza, col senso del buono, del giusto, dell’onesto, per uscire da questo deserto emotivo e ridare forza e fiducia alle umane relazioni.
Può essere così istruttivo un libro per l’infanzia? Io dico di sì. Questa è una prerogativa dei libri della Lupo editore: libri per l’infanzia adatti anche agli adulti, come avviene per l’altro libro che ho letto “Leopoldo” e di cui ne consiglio la lettura nelle famiglie e nelle scuole.
Matisse è come un bambino intelligentissimo che apprende subito i suoi doveri, ma vuole anche essere rispettato nella sua dignità, in una vita che, come l’ha raccontata lui, “sembra una leggenda”, una vita che tutti vorremmo vivere.

Un libro sui diritti-doveri, che insegna a rispettare animali, cose, natura, persone, spazi privati ed esterni.
Un libro che ridefinisce l’IO sottolineandone gli alti valori morali e il senso del Bene che trionfa in ogni pagina del libro, impreziosito dalle illustrazioni di Valentina D’Urbano

Giovanna Albi

giovedì 12 dicembre 2013

Vita da editor: Donatella Neri si racconta



Da molti anni sei editor Lupo Editore: descrivici il tuo ruolo.
Nella ormai datata collaborazione con l’editrice Lupo sono sempre stata una figura polivalente: in primis lettore delle proposte letterarie in arrivo con il compito di valutarne la validità, poi di effettuare eventuali interventi di editing e di curare la stesura della bandella, la scelta della quarta di copertina e la compilazione di una scheda libraria, se necessario. Oggi la casa editrice è in piena ascesa e la sua produzione è molto più ricca e articolata rispetto agli esordi; i lettori/valutatori sono diventati numerosi e alcuni di loro dimostrano passione e la sensibilità particolare che li renderà i futuri editor della Lupo, se lo vorranno. Al momento, quindi, oltre a svolgere le precedenti mansioni, magari dedicandomi ai casi più “critici” o al lavoro di autori che richiedono direttamente la mia consulenza, mi capita anche di fare da spalla a queste giovani leve o (come è avvenuto nel 2012), di offrire un servizio formativo.

Molto spesso l'editor viene confuso con il correttore di bozze. In cosa differiscono queste due figure?
Per un certo tempo ho svolto il lavoro di correttore di bozze, in gioventù, e credo che mi sia stato utile per capire quanto “occhio”, attenzione e pignoleria siano necessari per fare del libro stampato un buon prodotto. Si tratta di un’attività prettamente tecnica, ma di grande importanza: il correttore va a caccia di refusi, di spazi non rispettati, di maiuscole e minuscole al posto sbagliato ecc., perciò si occupa di aspetti formali che potremmo definire di superficie. Per non farsi sfuggire questi particolari deve leggere il testo sganciandosi dal suo significato, isolando la sua attenzione su micro-segmenti. L’editor, al contrario, ha un contatto più approfondito con la scrittura, deve ragionarci sopra, cogliere la sinergia tra senso e suono, considerare il ritmo narrativo e attivare in se stesso una serie di “corde” che devono entrare in risonanza con un’ampia gamma di aspetti.

Qual è stato il percorso che ti ha portato a diventare editor?
Come spesso accade, è stato il caso a guidarmi. Ero approdata alla Lupo come autore quando la convinzione delle potenzialità del progetto di Cosimo mi ha indotta a mettere a disposizione la mia esperienza. In realtà non avevo fatto nessuna “scuola” specifica, ma avevo alle spalle decenni di letture di ogni tipo e stile, collaborazioni a testi di generi diversi e, non ultima, una lunga carriera di insegnante nelle scuole superiori dove avevo tenuto spesso laboratori di scrittura creativa. Potrà sembrare strano, ma l’allenamento alla correzione degli elaborati dei miei allievi, che ho effettuato sempre con l’unico obiettivo di valorizzare le loro capacità espressive, si è rivelato un indubitabile fattore di competenza nell’attività di editor. In sintesi, il mio non è stato un percorso canonico, parlerei piuttosto dello spontaneo evolversi di una vocazione alla lettura e alla scrittura.

Quali competenze deve avere un editor?
Il discorso rischia di essere lungo, a voler essere esaurienti… dirò solo che, oltre ad essere un buon lettore, un editor deve essere un ottimo ascoltatore. Calvino, che fece l’editor a lungo, sottolineava l’importanza di questo aspetto professionale ricordando che l’affabulazione è la base del “raccontare storie”. Quando si lavora su un romanzo è quindi buona cosa leggere e rileggere a voce alta, o almeno far risuonare mentalmente quanto si legge, per verificare la “tenuta” narrativa della scrittura. Poi saranno le conoscenze linguistiche (che naturalmente devono essere più che solide) a suggerire una sostituzione lessicale, un costrutto più agile, un aggettivo in più o un avverbio in meno; naturalmente sto parlando di interventi di potenziamento nel caso di un testo che sia sostenuto da un’idea valida e da una scrittura ben strutturata… quando comincia a mancare anche una sola di tali caratteristiche, il lavoro che si prospetta è molto più impegnativo. È bene precisare che l’editor rappresenta il lettore ideale di quella narrazione e come tale individua i punti forti e i punti deboli del testo per permettergli di trasmettere il suo messaggio nel modo migliore; si tratta quasi di un’operazione maieutica, ed è l’aspetto di competenza più affascinante di questo mestiere. Nonostante i numerosi pregiudizi in merito, quello dell’editor è un lavoro estremamente creativo.

Quali sono i diversi passaggi di un editing?
Credo di aver in parte già indicato una buona fetta del lavoro di editing parlando delle competenze, che tuttavia ovviamente non sono limitate al campo linguistico. Dopo un primo aggiustamento della forma, l’editor deve occuparsi della coerenza della storia, dei profili dei personaggi, dell’ambientazione… deve eventualmente segnalare all’autore le possibili incongruenze (ad esempio riguardo ai luoghi o ai tempi in cui è collocata la vicenda) e verificare che in nessun punto del racconto sia stata tradita la cosiddetta legge di Coleridge, quel patto di sospensione dell’incredulità che si crea tra autore e lettore, in nome del quale la fruizione di un’opera diventa un’esperienza godibile. Se questa legge viene elusa, il rapporto tra autore e lettore viene irreversibilmente compromesso; per fare un esempio di basso profilo ma efficace, accade come quando in un film storico si scopre che il legionario porta al polso un Rolex: la caduta nel ridicolo manda a catafascio tutto! Dunque, una volta controllati ed eventualmente corretti tutti questi aspetti (comprese le date e/o i riferimenti a precisi eventi reali che possono essere citati nella narrazione), si conclude con l’ultima revisione formale per procedere alle rifiniture. Non è difficile comprendere che si tratta di un lavoro lungo e paziente, ma l’editor è al servizio del libro e lo deve curare al meglio…

A volte l'editor rischia di intaccare lo stile di un autore. Come si può riconoscere uno stile e non influenzarlo con il proprio?
Un grande lettore riconosce subito uno stile, o gli echi di un modello letterario, poiché può attingere all’immenso bagaglio di scritture incontrate e analizzate; quando parlo di “grande” lettore non mi riferisco infatti solo al considerevole numero e alla varietà di opere lette, ma anche al fatto che ogni libro può essere letto e riletto, proprio come si ascolta più volte un brano musicale, rivelando a distanza di tempo spessori di contenuto o di stile che in un primo momento erano stati forse oscurati da una storia appassionante. Queste conoscenze fanno sì che un editor sia abituato ad apprezzare stili diversi senza “sposarne” nessuno, pur esprimendosi in un suo modo quando scrive. Ma, appunto, il fatto di essere autori va del tutto messo da parte quando si svolge il ruolo di occhio esterno sull’opera altrui, in quel momento bisogna attivare la capacità di adeguamento alla scrittura sulla quale si sta lavorando; un bravo editor è un camaleonte, se non fosse tale non riuscirebbe a ottenere l’effetto di armonia e coerenza espressiva che può fare il successo di un libro, si noterebbero subito le dissonanze tra lo stile dell’autore e il suo.

C'è chi dice che un editor debba essere un bravo psicologo e chi pensa che debba averne uno buono, che cosa ne pensi? Qual è il tuo rapporto con gli autori?
Essere bravi psicologi è necessario soprattutto quando il rapporto con l’autore prevede di seguirlo step by step, ovvero quando l’autore sente il bisogno di confrontarsi periodicamente con l’editor durante la composizione di un romanzo per ricevere conferme o chiedere input stimolanti, come per superare gli inevitabili momenti di crisi che possono rallentare o intralciare il suo lavoro creativo. L’incoraggiamento esterno è importante, perché il parere di amici e parenti (pure cercato) non appare affidabile. Devo dire che gli autori Lupo con i quali si è creato questo contatto privilegiato non sono molti, ma il rapporto con loro è di vera e propria amicizia: si tratta di persone che hanno colto perfettamente il mio atteggiamento di onestà intellettuale. Nella maggioranza dei casi, però, non ho un reale contatto con gli autori se non attraverso la lettura del loro lavoro… anche se è accaduto recentemente che alcuni mi abbiano scritto dopo aver letto la scheda di valutazione che avevo stilato per loro. Bisogno di uno psicologo? Forse… ma solo quando si ha a che fare con principianti che si credono geni della penna o quando ogni proposta di correzione viene respinta puntualmente con spirito polemico: entrare in dialogo con atteggiamenti autoreferenziali, con l’incapacità di capire che si sta operando a vantaggio del “tuo” libro, a volte richiederebbe qualche suggerimento specialistico…

Raccontaci la tua più bella esperienza di editing.
Mi risulta difficile scegliere una esperienza di editing come la più bella, sia perché non vorrei far torto a nessuno sia perché ogni esperienza presenta delle peculiarità che la rendono unica e “bella” a modo suo. Mi piace però parlare, senza fare nomi, dello stupendo rapporto che da più di un anno mi permette di seguire passo passo il lavoro di una giovanissima promettente scrittrice: di fatto la sto vedendo crescere, e constatare i progressi della sua scrittura nell’evolversi della personalità e nell’intelligenza con la quale accoglie i suggerimenti mi soddisfa molto. Una gratificazione particolare, poi, mi è giunta da una nota autrice Lupo che scrive per l’infanzia, settore con esigenze tutte sue al quale sono particolarmente legata: sentirmi dire che i miei interventi (peraltro “sottili” e mirati alla fascia d’età degli utenti) avevano trasformato un prêt-à-porter in un capo d’alta moda mi ha davvero fatto piacere!


(L'intervista è a cura di Enza Melileo)



* Donatella NERI

Nata a Firenze nel 1947, è cresciuta in Friuli e si è laureata in Filosofia a Padova per poi dedicarsi all’insegnamento nelle scuole superiori, alla ricerca e alla scrittura.
Nel corso della sua lunga permanenza in Salento ha tenuto laboratori di scrittura creativa per studenti, ha collaborato alla stesura di copioni teatrali e affinato l’esplorazione dei linguaggi, per approdare infine alla Editrice Lupo in qualità di autore, editor e consulente.
Da sempre vicina al mondo degli illustratori, ha curato in particolare l’introduzione di Compare gallo e la sua storia (Ivan Trinko – Alessandra D’Este, 2006) e la presentazione dell’opera di Luisa Tomasetig per la mostra “Viaggio fantastico nel mondo dei bambini” (Portogruaro, apr. 2010).
Il gusto della sperimentazione l’ha guidata verso diverse forme espressive, prediligendo la scrittura per ragazzi ma guardando sempre al bambino che si nasconde nell’adulto. Sue sono le filastrocche Amori lupeschi e Le babbucce dell’Uomo Nero, apparse nei numeri sperimentali della rivista UnDueTreStella (Lupo Editore). Ha pubblicato: La casa antica, Ribis Editore, 1995; Una riflessione al giorno, per l’Avvento e per tutti i giorni dell’anno (ill. Alessandra D’Este), A.G.F., 1999; Gigi e le stagioni (ill. Katiuscja Dimartino), Lupo Editore, 2006; Abecederbario, storie e leggende dal bosco e dal prato (ill. Marisa Moretti), Lupo Editore, 2007.

sabato 7 dicembre 2013

Cronache marziane. Racconti da Più Libri, Più Liberi [2]

Giornata intensa quella di oggi alla Fiera della piccola e media editoria di Roma. Più Libri Più Liberi, infatti, oltre a registrare un notevole aumento di presenze rispetto alla giornata di ieri, è stata il palcoscenico per una serie di incontri professionali che hanno tracciato, nel loro complesso, il quadro dell'editoria del futuro. Io c'ero e ho preso parte a un tour de force durato quattro ore.
Si è partiti alle 11,00 con il workshop Dateci credito! un incontro promosso da Aie, che ha dato spazio e voce a Guglielmo Belardi, di Medio Credito Centrale, e Alessandro Messina, della Federazione italiana delle Banche di Credito Cooperativo. Al centro del dibattito il doloroso problema dell'accesso al credito per le piccole imprese editoriali, le quali si vedono negati finanziamenti e prestiti per via delle numerose sofferenze che da tempo pesano sui bilanci delle banche italiane. Non pare esistere una soluzione in questo senso, almeno in questo momento e a detta dei due ospiti, ma da tempo, tuttavia, sono in atto nuova strategie di finanziamento che trovano la loro massima espressione nel crowdfunding.
L'incontro organizzato da Meta, società operante nell'Information Technology e da tempo dedita all'editoria multimediale, si è invece incentrato sul tema Guadagnare con il digitale. I relatori hanno cercato di tranquillizzare sul futuro catastrofico che da tempo viene descritto per l'editoria nostrana, soprattutto quella cartacea. L'invito è a guardare a questo come un momento entusiasmante che chiama a nuove sfide e invita l'editore a diventare un mestiere di testa e non solo di cuore. Le nuove sfide per gli editori riguardano soprattutto la loro capacità di guardare al mercato, di aspirare a nuove creatività e di favorire strategie di collaborazione e sinergia nel mercato digitale, il quale dovrà essere imperniato su 4 must: il ripensamento dei contenuti, la centralità del lettore, la risposta al crescente bisogno di socializzazione e a quello di ubiquità. Come tutto questo può diventare concretezza? Attraverso un abile sfruttamento delle piattaforme digitali, come per esempio quella di Ubilibrary.com, la quale potrà offrire soluzioni di business alla piccola e media editoria, grazie alla creazione di stanze virtuali in cui il lettore interagirà con i prodotti editi e con gli altri utenti.
Il tema è stato ripreso nell'incontro successivo, quello dedicato alla Guida pratica dell'editoria 2.0 con Stefano Quadraro e Fabio Rocchini, i quali ci hanno aiutato come è possibile promuovere libri attraverso i social. Certamente al centro dei processi di promozione oggi non può mancare una considerazione del ruolo e della voce del lettore, il quale deve essere coinvolto e intervenire fattivamente nel processo di diffusione dei contenuti. Oggi, più che mai, è necessario definire un piano editoriale anche in merito al posizionamento delle case editrici su Facebook o su Twitter: non è più possibile lanciare contenuti che non siano stati programmati e non è più possibile farlo senza tenere il passo dell'interazione con questi contenuti, sollecitandola laddove langue. Ciò che caratterizzerà maggiormente il futuro dell'editoria sul web sarà il social commerce, una nuova forma di commercio online che sfrutta il potenziale di blog, community e social per consentire una maggiore interattività.
E se queste proposte non erano sufficienti, quelle "folli", a detta di Marco Zapparoli, sono state lo sprone a un'editoria audace e intraprendente. Il patron di Marcos y Marcos ha preso parte a un incontro insieme a Daniele di Gennaro, di Minimum fax, e Pietro Biancardi di Iperborea, dedicato a Nuove iniziative per tempi difficili. La tavola rotonda ha rappresentato l'occasione per presentare nuovi modalità di promozione della casa editrice e della cultura che ruota attorna a essa, partendo dal presupposto che l'editore non è un produttore di libri, ma un catalizzatore di passioni, come ci ha ricordato Biancardi. Tra le proposte innovative suggerite dai tre editori non mancano i Bookparty di Minimum fax, occasioni per ascoltare il lettore e i suoi bisogni; l'integrazione con altre forme di cultura, come quelle promosse da Iperborea; e, infine, quelle stravaganti di Marcos editore che vanno dalla letteratura rinnovabile, che parte dai testi classici per produrre qualcosa di nuovo, alla capacità di fare rete, come per esempio per l'iniziativa Letti di notte.
Insomma, una giornata davvero ricca di spunti e suggestioni per i piccoli editori nostrani e soprattutto l'incoraggiamento a non gettare la spugna, ma a cogliere le nuove sfide che la modernità mette in campo.
Ci prepariamo a una nuova giornata di Fiera che si preannuncia ricca di visitatori.

giovedì 5 dicembre 2013

Cronache marziane. Racconti da Più Libri, Più Liberi [1]

È ufficialmente partita oggi (nonostante le numerose iniziative collaterali che da tempo animano la città) la XII edizione di Più Libri, Più Liberi, la Fiera della piccola e media editoria italiana che si tiene al Palazzo dei Congressi a Roma in zona Eur.
Sguinzagliato come segugio, vi racconterò quello che i miei occhi riusciranno a vedere e quello che le mie orecchie riusciranno a sentire di questa kermesse capitolina dedicata all'editoria nostrana. Non starò qui a enumerarvi tutte le iniziative e le sezioni della Fiera, che potete facilmente consultare all'indirizzo e-mail http://www.piulibripiuliberi.it, ma mi piace coinvolgervi in questa esperienza di bagno di libri e di idee fresche e innovative per quella branca dell'industria culturale italiana che tanto fatica a emergere e tanta attenzione merita.
Sono arrivati a Roma nel primo pomeriggio, complice un servizio di trasporti non facile e per la mia provenienza (a Ciampino ho dovuto attendere più di un'ora per prendere una navetta che mi portasse al centro) e per il traffico congestionato dell'Urbe e per le sue linee di autobus non sempre solleciti.
Arrivato alla sede dell'esposizione, grazie anche alla bella iniziativa della Linea Libri, la navetta dedicata che parte ogni 15 minuti dalla fermata della metro Eur Fermi, sono subito entrato nello spirito della manifestazione e colto da un'irrefrenabile voglia di acquisti. Quella dei nuovi ambulanti dell'editoria che sul piazzale del Palazzo dei Congressi hanno voluto a tutti i costi che il sottoscritto acquistasse un libro di racconti africani per bambini (l'iniziativa parte da alcune cooperative legate ad alcune case editrici che si dedicano alla promozione della cultura attraverso anche l'offerta di lavoro agli immigrati: Terre di Mezzo, Gruppo Solidarietà Come, etc.). Acquistato il mio piccolo volumetto, (perché visitare la Fiera senza un minimo di spirito solidale, vanifica il nostro impegno) sono finalmente riuscito a ritirare il mio pass "Operatore professionale" e accedere al caleidoscopico e immane ventaglio della piccola editoria italiana, sfoderata lungo svariati corridoi a costituire un dedalo che la dice lunga sullo stato della nostra industria.
Sono riuscito ad accedere giusto in tempo all'incontro in Sala Rubino dal titolo La funzione editoriale con Riccardo Cavallero, Direttore Generale delle Edizioni Mondadori, e Sandro Ferri, editore fondatore di e/o Edizioni. L'interessante dibattito a cui Cavallero e Ferri hanno dato vita ha proiettato l'editoria italiana, soprattutto quella minore, nell'immediato futuro, se non presente, nel quale tra gli obiettivi principali c'è quello di uscire dal tunnel della crisi. I punti cardine della discussione possono essere riassunti in alcune parole chiave:
-sistema: la necessità per l'editoria italiana di fare sistema soprattuto in ambito digitale e dell'innovazione in genere;
-quantità: è un falso problema perché libri se ne produrranno sempre di più, ma deve cambiare - e succederà - il modo di fare i libri perché finalmente potremmo fare affidamento sull'analisi dei dati che ci aiuterà a comprendere il portato di un testo in digitale e valutarne la sua produzione cartacea;
-innovazione: non può essere tecnologica, ma soprattutto editoriale, nel senso che bisogna trovare nuove forme per «far tenere in mano un libro al lettore» e permette a questo di interagire e discutere con altri lettori e con gli editori;
-integrazione: tra cartaceo e digitale, senza che l'uno prevarichi l'altro o soccomba scomparendo;
-rifondazione: di una nuova società culturale che faccia perno sull'editoria e sull'informazione.
Obiettivi alti quelli posti da Cavallero e Ferri, che non voglio assolutamente giudicare in questa sede perché attendo il confronto con gli altri incontri dei prossimi giorni.

E intanto cala la notte su questa prima giornata di Più Libri, Più Liberi. L'appuntamento è per domani. Seguiteci!

sabato 30 novembre 2013

Recensione a "Una buona stella" (Lupo Editore) di Francesco De Giorgi

Ci sono romanzi che non si limitano a raccontare una storia ma, con occhio critico, descrivono uno spaccato della nostra società, delle sue contraddizioni, delle sue malvagità, offrendo la possibilità al lettore di domandarsi se quello in cui viviamo è veramente un mondo giusto. “Una buona stella” di Francesco De Giorgi è proprio quel genere di romanzo.

Sullo sfondo di una società “sporca”, di un mondo che “luccica solo per i più fortunati”, di un microcosmo in cui si muovono personaggi di basso profilo, si incontrano due vite sbagliate, due vite sfortunate, due solitudini. Sono quelle di Franco e Stella.
Lui, Franco, cinquantenne impiegato comunale dall’esistenza grigia, noiosa, abitudinaria e tremendamente solitaria, ha trascorso tutta la sua vita in attesa della sua “buona stella”, ovvero dell’occasione giusta, della felicità, di una donna. Finalmente quella buona stella, che per uno scherzo del destino si chiama proprio Stella, sembra arrivare: è una ragazza che gli darà il coraggio di guardarsi con occhi diversi, di dare fiducia alla vita.
Lei, Stella, è una giovane albanese di diciannove anni, bellissima, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri come il mare, con un triste passato e un futuro troppo incerto. Vittima di violenze, è sfuggita al racket della prostituzione, e vive oramai in preda ad ansie e paure, non riuscendo più a fidarsi del prossimo.
A fare da cornice, una cittadina provinciale come Gallipoli che si rivela nella sua profonda contraddizione di paese di mare: solare, piena di vita in estate, profondamente malinconica e solitaria quando incombe l’inverno.
L’incontro tra Franco e Stella regalerà a entrambi un po’ di luce e rari attimi di serenità, l’illusione che una seconda possibilità possa essere concessa a tutti. Ma inesorabilmente a vincere sarà ancora una volta il dolore, la smarrimento, la solitudine.

Francesco De Giorgi, giovane autore salentino alla sua seconda prova come scrittore, ha una visione piuttosto disincantata della realtà, non concede sconti a nessuno, e ci racconta una società fatta di sogni effimeri, di prepotenze, di disagio, di vuoto. Lo fa attraverso la caratterizzazione di personaggi che, sicuramente, nel nostro quotidiano abbiamo incontrato o conosciuto. Panettieri non di certo in forma che tra una baguette e un filoncino espongono il loro calendario senza veli, bariste dal bel sorriso che si concedono a tutti imitando le attricette che occupano i rotocalchi, giovani rozzi e cafoni pieni di tatuaggi, oramai simbolo di conformismo più che di trasgressione, ragazzini che non riescono più a sviluppare una propria personalità e a provare delle emozioni, anziani considerati come un peso, e non come punti di riferimento.
Si finisce di leggere il romanzo con la convinzione che sicuramente non è questo il mondo che vorremmo ma, nostro malgrado, “le cose non vanno come dovrebbero andare, altrimenti la vita sarebbe troppo bella e facile”.


Cristina Trinchera


venerdì 22 novembre 2013

Fiere o caravanserragli? Pensieri sparsi tra Francoforte, Milano e Rom

Questa riflessione, lo ammettiamo, arriva un po’ tardiva, quando ormai i fuochi della polemica si sono già acquietati e l’editoria nostrana si proietta verso nuovi (e dolorosi?) bilanci. Eppure ci sembra necessario riprendere una discussione sullo stato dell’industria del libro e sui grandi eventi che la caratterizzano perché siamo del parere che il movimento fieristico, che in questa stagione è quanto mai vivace e ricco di appuntamenti, sia uno dei perni di questa querelle.
Si è chiusa appena il mese scorso la Buchmesse, la fiera internazionale dell’editoria che ogni anno raccoglie a Francoforte, in Germania (e questo non è un dato irrilevante), milioni di visitatori. Eh, appunto, visitatori. E le case editrici?
Anche quest’anno gli organizzatori hanno registrato un calo degli espositori rispetto al 2012 (si è passati dai 7300 della passata edizione ai 7100 attuali), descrivendo una tendenza negativa in atto già da qualche anno (nel 2010 erano 7539). E l’Italia?
Il nostro paese registra il passivo più rilevante di questa edizione: solo 220 le imprese partecipanti con un calo del 7%. Segno della crisi che attanaglia l’editoria? Probabilmente sì, ma quali sono gli estremi di questa crisi?
Come ogni anno all’apertura della manifestazione, il Punto Italia è stato vivacizzato (pura ironia la nostra, ce ne scusiamo con gli animi sensibili) dalla presentazione del Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2013, curato da Nielsen per l’AIE, l’Associazione Italiana degli Editori. I dati contenuti nel resoconto (è possibile visionarne una sintesi sul sito www.aie.it nella sezione Cifre e Numeri) non sono per niente incoraggianti: il 2012 è descritto come l’annus horribilis dell’editoria nostrana.
I parametri che tratteggiano la crisi sono quelli che, prima ancora di qualsiasi altra considerazione di carattere socio-culturale, attengono all’aspetto principale di una qualunque impresa industriale: il mercato. Rispetto a questo dato le case editrici denunciano un nuovo crollo delle vendite, che si attesta sui complessivi 3,1 miliardi di euro, con un calo del 6,3% e che si aggrava se da queste cifre disaggreghiamo i numeri relativi ai ricavi del non book (cartoleria varia e gadget, che riempiono a vista d’occhio le librerie del Paese) e dei remainders (le eccedenze di magazzino e gli stock di copie invendute rimessi sul mercato a metà prezzo).
Tra le altre informazioni che possono servire alla nostra disquisizione, il Rapporto registra un mutamento delle gerarchie di vendita, con una crescita costante degli acquisti online a discapito della libreria fisica (e soprattutto di quella indipendente) e un, ci pare, conseguente incremento del mercato degli ebook, a fronte anche di una più aggressiva offerta da parte dei venditori di e-reader.
Un dato confortante in tutto questo c’è ed è che, sebbene di poco, stia crescendo il tasso di lettura in Italia. È difficile comprendere da quale parte stia il merito, ma indubbio è il ruolo che in questo ha assunto il digitale nel favorire la diffusione del libro e della lettura in quei settori e tra quelle fasce di popolazione che tradizionalmente si avvicinano poco ai testi. E del resto, non possiamo nemmeno ignorare il fatto che la scuola italiana stia andando verso la strutturazione di una didattica ad alto tasso di digitalizzazione, il che richiede una conversione del libro di testo con un conseguente aumento non solo delle vendite (forzate), ma anche della lettura (obbligatoria).
Il commento di Marco Polillo, presidente dell’AIE, a questi dati la dice lunga sull’insofferenza generalizzata che serpeggia tra gli addetti ai lavori. Polillo apre la sua chiosa (il documento è presente sul sito) lamentando con amarezza che se lo scorso anno una politica del libro era urgente, ora è decisamente in ritardo e ha generato pericolosi danni: calo del fatturato del 14%; crisi occupazionale con numerose imprese editrici che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione; continua chiusura delle librerie; drammatico accesso al credito; e, non ultimo, un preoccupante calo dell’export. Polillo, che è anche Presidente di Confindustria Cultura, dopo il confronto con lo stato in cui versano gli altri mercati librari nazionali, lancia apertamente una critica alle istituzioni dalle quali si attende «una politica per il futuro», la quale non si basi su meri sussidi, ma «un supporto basato su regolamentazione, sostegno all’innovazione e promozione culturale». Egli ravvisa, inoltre, alcuni temi caldi sui quali ritiene si debba urgentemente intervenire per risollevare le sorti dell’editoria nostrana:
  1. una seria promozione della lettura, che parta anche da iniziative ministeriali o che per lo meno non sottragga i fondi a disposizione di quelle già avviate altrove;
  2. l’adeguamento dell’IVA sugli ebook, che sono ancora aggravati dell’aliquota al 22%, a differenza della carta che gode di un trattamento privilegiato: ci pare un passo necessario, se si considera la crescita del mercato digitale;
  3. una ri-determinazione degli equilibri competitivi nei canali commerciali del libro in tutto il mondo, perché gli ebook hanno una natura più internazionale e stanno aprendo alla concorrenza internazionale anche i mercati ecommerce del libro fisico e stanno modificando i rapporti tra ecommerce e commercio tradizionale, mettendo a rischio le librerie. E questo può avvenire solo attraverso un rafforzamento delle norme sul prezzo fisso, come avviene nel resto d’Europa;
  4. una presenza più marcata di contenuti culturali nell’agenda digitale: l’Italia ha fatto una battaglia a Bruxelles per sostenere che nell’agenda digitale europea dovesse esserci la cultura. Ed è stata una battaglia vinta. Poi, tornati in Italia, di cultura nell’agenda digitale quasi non si parla. Eppure, quando si seguono strade diverse i risultati si vedono. È di questi giorni un’interrogazione di due parlamentari europei del nostro paese, Silvia Costa e Luigi Berlinguer, che chiede al vice presidente della Commissione, Neelie Kreus, di dare priorità agli interventi sul tema dell’accesso dei non vedenti ai contenuti digitali, e in particolare ai libri. Lo fanno ricordando l’esperienza italiana, che sta destando l’interesse nel resto d’Europa, grazie al progetto LIA - Libri Italiani Accessibili. È la dimostrazione che quando facciamo sistema conquistiamo posizioni di leadership nel mondo, sappiamo essere innovativi.
Ci sembra, tuttavia, che in questo elenco manchi, o probabilmente non era pertinente, un’attenzione al ruolo che nella nostra industria editoriale assolvono le fiere (del libro, dell’editoria o di tutto ciò che è legato al tema della lettura). La scarsa presenza di editori a Francoforte ha scatenato veraci polveroni e scontri polemici sulle pagine dei quotidiani nazionali e dei blog culturali. Su tutti vi rimandiamo alla diatriba mossa dal corsivo, una geremiade incosciente, a nostro avviso, di Gian Arturo Ferrari, presidente del Cepell, sul Corriere della Sera del 14 ottobre http://www.corriere.it/opinioni/13_ottobre_14/scoprire-non-contare-piu-nulla-5ec8121a-34ed-11e3-b0aa-c50e06d40e68.shtml e alla quale hanno risposto per le rime, tra gli altri, Christian Raimo dalle pagine di Minima&Moralia, il blog culturale della Minimum Fax, (http://www.minimaetmoralia.it/wp/giusto-due-parole-a-gian-arturo-ferrari/) e Paola Del Zoppo, direttrice editoriale di Del Vecchio (http://www.senzazuccheroblog.it/gian-arturo-ferrari-rapito-dagli-alieni/#comment-2112).
Al di là di questa caduta dalle nuvole di Ferrari, il quale è rimasto inorridito dai corridoi italiani deserti della Buchmesse, c’è un dato che non può sfuggire: effettivamente Francoforte non è alla portata dell’editoria italiana. O forse, ci chiediamo noi, è arrivato il momento in cui l’impresa culturale italiana non abbia più voglia di puntare sulla fiera?
Ora non vogliamo sobillare altri, e ingloriosi, vespai, ma vogliamo avviare una riflessione su questo segmento importante della politica commerciale (e culturale, indubbiamente) in questo momento di rigoglio di appuntamenti e a pochi giorni dall’apertura di Più libri, più liberi, la Fiera della Piccola e Media Editoria, che inizia a Roma il prossimo 5 dicembre.
Indubbiamente le fiere dell’editoria hanno rappresentato, nel corso degli anni, una delle vetrine più accattivanti per le aziende italiane e per i nostri scrittori, perché consentono al lettore di avere sottomano le produzioni più recenti e più interessanti degli editori italiani, di conoscere i cataloghi di quanti restano più defilati e di entrare a diretto contatto con i suoi beniamini della penna. La domanda è lecita: ma questo non lo fanno già i social network, i cataloghi digitali, i siti delle diverse imprese e i blog culturali? Cui prodest, allora, impegnare denari ed energie per tentare un’operazione di promozione che è già assolta naturalmente dagli strumenti della multimedialità 2.0?
Le analisi più recenti ci dicono che, con Pinterest capofila, tutti i social network sono diventati le vetrine più agognate dagli editori italiani: basta fare la conta dei profili su Twitter e dei loro follower per comprendere quanto oggi raggiungere il lettore e farsi conoscere sia davvero all’ordine del giorno. Eppure c’è ancora chi difende a spada tratta il ruolo svolto dalle fiere nel mercato librario internazionale. E già, perché c’è forse un elemento che su tutti dà valore a questa esperienza e si chiama, per optare (e piegare ai nostri scopi) un’espressione di un santo del secolo scorso: convivialità delle differenze. Già perché le fiere offrono quel contatto umano e quell’incrocio di storie, esperienze, sperimentazioni e innovazioni fondate sul sacro valore della parola, quella parlata, quella scambiata face to face, quella fatta di dispute infervorate e amabili conversazioni da salotto, che qualsiasi mezzo di comunicazione non può offrire o può farlo solo in parte.
Soprattutto per quegli eventi dedicati alla piccola e media editoria (che rappresenta la maggior fetta della realtà produttiva italiana secondo Antonio Monaco, Presidente del Gruppo Piccoli Editori di AIE), come Più Libri, Più Liberi, che partirà il prossimo 5 dicembre al Palazzo delle Esposizioni all’EUR a Roma. Questi, infatti, possono essere l’occasione per le piccole editrici italiane, e in questo il settore non è dissimile dal tessuto imprenditoriale fatturiero, che hanno un’elevata capacità innovativa, ma anche una fragilità imprenditoriale nella capitalizzazione e nelle risorse finanziarie. Per esse la Fiera rappresenta l’occasione per far arrivare al lettore (e in queste occasioni parliamo di lettori forti curiosi di scoprire le sperimentazioni e i prodotti alternativi) quelle iniziative che restano fuori dai giri del grande marketing e delle discussioni virtuali: come dice Francesca Chiappa, di Hacca edizioni, si ha la possibilità di far conoscere il proprio progetto editoriale accanto a tante altre proposte di qualità scelte con cura dagli organizzatori e presentate senza prevaricazioni da parte dei grandi marchi sui piccoli e permettendo al lettore di scegliere in autonomia ciò che preferisce.
Ma, a prescindere da queste considerazioni, la fiera è l’occasione, a nostro avviso, perché gli editori si confrontino sul serio sulle urgenze dell’agenda culturale e dell’industria editoriale nazionale e internazionale per individuare strategie comuni, sinergie da attivare, indirizzi comuni da seguire per trovare l’alternativa a questa crisi della lettura, delle vendite, della cultura che oggigiorno rischia di vanificare gli sforzi complessivi di uno dei settori più importanti dell’industria mondiale, che è l’industria della cultura, sulla quale prima o poi anche la politica dovrà fare affidamento. E questo è possibile farlo solo uscendo dall’hortus conclusus dei propri spazi, che spesso, nelle Fiere – e su questo hanno ragione i detrattori – diventano delle piccole fortezze inespugnabili in cui ognuno guarda al suo orticello e non riesce ad andare oltre.
È quindi più indicato, allora, sulla scorta di queste considerazioni, puntare sulle iniziative come Bookcity, che si inaugura oggi a Milano, e vuole essere più che una vetrina, un’agorà di discussione, di incontro e di promozione della lettura diffusa, senza uno spazio fisso e puntando alla valorizzazione di tutti quei posti nei quali il libro può trovare il suo spazio e il suo ruolo di guida educativa, interagendo e integrandosi con la multimedialità globale dell’era della virtualità (tutte le info si trovano sul sito http://www.bookcitymilano.it/).
Non possiamo dire per certo se oggi le Fiere hanno ancora valore nel mercato librario e culturale (né immaginiamo esista una risposta definitiva). Vogliamo però iniziare a discuterne, nella convinzione che il futuro dell’editoria deve essere costruito da una forte spinta all’innovazione, dal sostegno delle istituzioni e, soprattutto, da un sano spirito corporativo, passateci il termine, che offra agli editori strade/spazi/occasioni per incontrarsi, parlare, creare sinergie e magari anche alleanze.

Postilla semiseria: questo post è stato scritto nella caffetteria di un grosso store librario italiano. Nel corso della redazione, chi scrive ha potuto assistere al via vai curioso e affascinato di frotte di clienti di tutti i tipi, ma in special modo di ragazzini affascinati da questo angolo ricreativo di ristoro e dai libri tutti attorno. Sarà forse il caso di pensare alle Fiere del libro in accordo con gli operatori enogastronomici? Non dimentichiamo di essere italiani e di amare, prima di ogni altra cosa, la buona cucina. E, a parte gli scherzi, iniziative in tal senso sono già avviate da anni e la commistione con i prodotti culinari non sono certo una novità del panorama librario. Ma questo risolve davvero il problema?

Matteo Sabato


giovedì 14 novembre 2013

ANTEPRIMA. IL VIAGGIO FANTASTICO DI LUPO EDITORE NELL'EPOPEA DI PORTOSPADA

L’agenda delle novità in libreria prevede oggi un appuntamento davvero interessante: esce, infatti, per Lupo Editore, La lunghissima notte di Portospada, il nuovo romanzo fantasy di Paolo Valentino.
Nell'istante in cui ci prepariamo al grande evento, riflettendo su Portospada (situata nell'arcipelago dei Quattro Giorni) scossa dal diminuire delle ore di luce e dal rischio di precipitare nel buio assoluto e pensando a quest'epopea fantastica, dove l’avventura ha un solo motto:  "mai cadere nella tentazione dell’oblio, mai perdere il ricordo delle vittime e con esso la capacità di reagire per tempo ai segnali che minacciano la pace"... riceviamo la prima primissima recensione!


LA LUNGHISSIMA NOTTE DI PORTOSPADA
di Paolo VALENTINO




Diciamoci le cose come stanno: di libri su Portospada ce ne sono fin troppi, uno su tutti Il Poderoso Libro di Storia di Portospada, dell'esimio professor Centopiedi. E chi non conosce questo delizioso paesino dell'Arcipelago dei Quattro Giorni, affacciato sul mare? Almeno una volta ognuno di noi avrà ricevuto o comprato un fiore fresco dal negozio di Giglio, il fioraio del posto che vive con la sua adorata gatta Mela. Ed è proprio da Mela che inizia a snodarsi il romanzo fantasy di Paolo Valentino, una storia che naviga tra le isole dell'arcipelago, lontane dal Continente, in un mondo che potrebbe essere il nostro o qualsiasi altro, dove si cela un antico risentimento – lì dove il mare si fa nero e profondo e odora di grog che cambierà per sempre le vite dei portospadesi.
Tutto comincia con la sparizione della gatta di Giglio, che mette in subbuglio l'intera popolazione nel tentativo di riportarla sana e salva dal suo padrone. Ad aiutarlo saranno Biagio del Mare, un giornalista del «Bollettino di Portospada» alle prime armi, bramoso di titoloni e scoop; Flink, un ex pirata in pensione che di piratesco ha ormai soltanto l'affilato uncino e una moglie severa che lo aspetta in casa pronta a farlo rigare dritto; e Vanessa, la titolare del Graffio Libero dove tutte le palle di pelo randagie trovano rifugio.
Se a questo punto pensate che sia un romanzo per gattare, be' signori miei vi sbagliate di grosso! Non udite in lontananza quella voce cupa e profonda che urla due sole, terrificanti parole? “Vendetta e riconquista!”: è il motto di Nero de la Loah, il più grande e potente di tutti i pirati, terrore dei mari fino al giorno in cui lui e la sua amata strega Jais furono sconfitti dalla magia bianca e condannati all'esilio.
I colpi di scena si susseguono capitolo dopo capitolo, ma in mezzo a tanti jolly rogers, uncini, incantesimi e personaggi alquanto bizzarri, Valentino riesce sapientemente a insinuare argomenti di attualità come la crisi di coscienza del giornalismo (ma noi giornalisti, una coscienza, ce l'abbiamo?) e dimostra grande sensibilità verso alcune tematiche animaliste: lo sapete, per esempio, che in tutto l'Arcipelago è vietata la caccia alle balene? Sì, i proprietari di baleniere e di ristoranti a base di carne di cetacei hanno fatto la voce grossa, ma il buonsenso ha avuto la meglio per mantenere l'armonia tra il mare e la terra. Sembra decisamente un mondo lontano anni luce da quello in cui viviamo noi, che mette alla sbarra chi, gli animali, li difende.
Insomma, sarà vero che di libri su Portospada ce ne sono fin troppi, ma questo è l'unico che si fa leggere tutto d'un fiato, di notte al buio, sotto le coperte, con una torcia accesa. Ed è l'unico, soprattutto, che ti fa sperare che Portospada esista davvero e che un giorno, forse, potrai riuscire a trovare la giusta rotta per raggiungere quella costa e bere un bicchierino di Mandarà con Giglio e i suoi compagni.

Ilaria Pellegrino


Paolo Valentino, autore de La lunghissima notte di Portospada è nato nel 1982 a Rho, in provincia di Milano. Qui ha studiato, ha letto libri e fumetti, e ha giocato ore e ore con i più bei videogiochi degli anni Novanta. Nel 2009 ha pubblicato le due raccolte di poesie "Prospettive" (Anterem) e "Il ragazzo che scompare" (Le Voci della Luna). Ora lavora nell'editoria e vive a Milano, insieme a due gatti, Shiro e Panda-Thérèse. A lei è ispirato il personaggio di Mela.


giovedì 24 ottobre 2013

L'ARTE DELLE PRESENTAZIONI


Fausto Romano, autore del libro GRAZIE PER AVER VIAGGIATO CON NOI (Lupo Editore), scrive sulla nostra agenda.


Egregio Editore,

diciamoci le cose come stanno, con sincerità: le presentazioni dei libri sono pallosissime! La gente fa di tutto per non andarci, finge infarti, ascessi, si buca le ruote della sua auto. E poi, più i libri sono corti, più lunghe sono le presentazioni. C’è un mio amico che ha battuto al registratore di cassa uno scontrino fiscale, ancora lo sta presentando. Ma, ahimè, questo tipo di presentazioni continua a esistere, sussistere, insistere e mai desiste. E... povero pubblico!
La colpa, da una parte, è degli scrittori. Perché, non ce lo nascondiamo, ci sono degli autori che scrivono libri solo per fare le presentazioni e, durante queste, nei loro completi grigio topo, si pavoneggiano, godono, offrono la loro cultura: “io penso”; “io credo”; “io sono convinto”. E via con la lettura dei brani della loro opera d’arte. Brani letti sempre da gente che non sa leggere e s’incespica con le parole.
E poi c’è l’importantissima e nobilissima categoria dei RELATORI. Che per laurearti in “Relatoria” ti mettono davanti a una platea di mille persone: se riesci a farle addormentare tutte, ti laurei con 110 e lode. Relatori che a loro volta si suddividono in altre categorie. Ma questo ve lo risparmio.
Insomma, quando il mio editore, il buon Cosimo Lupo, mi disse che dovevo presentare il mio libro in giro per il mondo, pensai subito a mia nonna. Strano? No, io penso sempre a mia nonna quando devo fare le cose. Penso a come non annoiarla, a come farla divertire e riflettere nello stesso tempo. Così ho scritto un vero e proprio spettacolo sull’arte delle presentazioni nel quale parlo, è naturale, anche del mio libro.
Ah, s’intitola GRAZIE PER AVER VIAGGIATO CON NOI. Ma nelle mie presentazioni non dico quasi nulla: leggo solamente le primissime righe. Stop. Perché la bellezza – e la fortuna – di aver scritto un libro è nell’affidarlo al lettore. Tu non devi fare nient’altro, sarà il lettore a completarlo con la sua immaginazione.
Quindi, Egregio Editore, questo è il mio consiglio per tanti cari scrittori: non leggete tutto il vostro libro; è come iniziare a fare l’amore rivestendosi. E poi si sa che quelli importanti non le hanno fatte le presentazioni, ma hanno suscitato la curiosità del pubblico: guardate Dio con la Bibbia. Quale incipit migliore di: In principio Dio creò il cielo e la terra.
Poi se uno vuole sapere com’è andata a finire, beh... si compra il libro!

Fausto Romano

martedì 22 ottobre 2013

La nuova vita del romanzo filosofico? Intervista ad Ada Fiore, autrice di Vota Socrate.

Nei mesi concitati degli avvicendamenti politici su scala nazionale e locale, in questa fase di profondo rinnovamento degli spazi e dei linguaggi dello scontro elettorale, anche l’editoria italiana è alle prese con una funambolica attività redazionale per lanciare sul mercato prodotti che aiutino a comprendere, leggere e districarsi in questo frangente così concitato della nostra vita pubblica. Tuttavia tra le curiosità che popolano gli scaffali delle librerie nostrane, è uscito nel giugno scorso, per conto di Lupo Editore, un singolare esperimento letterario che si pone a metà strada tra la divulgazione filosofica e l’ars politica. Il libro si intitola Vota Socrate e costituisce la prima fatica di Ada Fiore, docente di filosofia, e, non a caso, sindaco di Corigliano d’Otranto, piccolo comune della Grecia Salentina, noto alle cronache italiane e internazionali come il Comune più filosofico d’Italia.


Il libro favoleggia un incontro/scontro tra Titani alle porte del Paradiso: Socrate, tra i maggiori pensatori della tradizione classica greca, e San Pietro, esponente di spicco della cristianità radicale e primo vicario di Cristo, si trovano, loro malgrado, a discorrere di vizi privati e pubbliche virtù davanti a un mondo contemporaneo che sembra sempre più destinato alla deriva. Il dialogo appassionante che li coinvolge sembra prospettare davvero, per la prima volta, una soluzione ai tanti problemi che attanagliano la nostra società.
Ne parliamo con l’autrice, Ada Fiore, a pochi mesi dall’uscita nelle librerie italiane.


D: Ada Fiore, ci permetta, tanto per rompere il ghiaccio, una domanda provocatoria. Lei è notoriamente un sindaco di centro-sinistra: cos’è, il suo partito ha esaurito tutti i candidati possibili e adesso lei se n’è inventato uno nuovo, recuperandolo dal passato?
R: La necessità è proprio trovare qualcuno che dica e soprattutto faccia “qualcosa di sinistra”.

D: A parte gli scherzi. Con Vota Socrate lei pare invitare la società a tornare ai valori originari della politica. Crede che oggi questo passo sia necessario?
R: La politica dovrebbe recuperare la sua missione fondamentale e cioè elaborare una visione del mondo in grado di affrontare le vere sfide di questi tempi, e invece  oggi si accontenta di vivere alla giornata, inseguendo lo spot elettorale in grado di far aumentare il sondaggio commissionato

D: Perché Vota Socrate
R: Perché c’è bisogno di una vera rivoluzione delle coscienze. Non ci si può accontentare di vivere assecondando e giustificando atteggiamenti “ignobili”. Abbiamo bisogno di una sorta di catarsi dei nostri comportamenti , delle nostre abitudini, dei nostri stili di vita, dei nostri pensieri. Voto Socrate per avviare una campagna elettorale che mi piace definire ethos-compatibile.

D: A dispetto del titolo, però, il suo non è un libro che parla solo di politica. Anzi, la figura di Socrate le permette di discorrere di filosofia che è la sua attività principale...
R: La filosofia è il mezzo da utilizzare per avviare la rivoluzione. È l’arma privilegiata per colpire l’animo umano. Ed essere colpiti dalla filosofia è la sensazione più bella che si possa vivere perché ti consente di acquisire strumenti importanti oramai dismessi dalla società del conformismo e della massificazione.

D: A chi è rivolto, allora, questo testo? Per chi lo ha pensato e qual è l’intento che sta alla base? Ci racconti la genesi di quest’opera.
R: Il testo non ha un destinatario privilegiato. In realtà è stato pensato per sfatare alcuni miti. In primo luogo quello che la filosofia debba vivere chiusa “nelle torri d’avorio”; in secondo luogo che sia una disciplina difficile; e infine che non serva a nulla. Utilizzando invece  un linguaggio semplice e comunicativo, inserendo il testo filosofico all’interno del dialogo e soprattutto contestualizzando i principi, la filosofia diventa, nel libro, una scienza alla portata di tutti.

D: Quale ruolo attribuisce alla filosofia nella società odierna? Crede che il pensiero possa occupare ancora un posto privilegiato in una contemporaneità che non concede soste per riflettere?
R: Il non pensare è il segreto per consentire agli altri di comandare sulla vita di ciascuno di noi. Comandare proprio nel senso di indirizzare i nostri bisogni, i nostri valori verso ciò che non siamo. E allora la sfida deve partire da ciascuno di noi: rottamiamo ciò che siamo stati per costruire una nuova umanità.

D: Entriamo nelle pagine del libro. Lei ha immaginato uno scenario molto fantasioso: Socrate, 2400 anni dopo la morte, non è ancora riuscito a varcare i cancelli del Paradiso per un disguido, per così dire, tecnico. A un tratto incontra niente meno che San Pietro, con il quale inizia a dialogare. Da dove è nata l’idea di questa ambientazione?
R: Era l’unica che mi consentiva di immaginare una riflessione sul presente “guardando dall’alto”, con un certo distacco.

D: Ha scelto un interlocutore non da poco. Perché proprio San Pietro?
R: A San Pietro  è stato affidato un compito importante, quello di edificare una vera Chiesa. E la Chiesa in questi ultimi anni non mi sembra abbia adempiuto ai suoi doveri e in parte la si può considerare complice nella distruzione di riferimenti chiari e forti.

D: Una delle questioni più controverse presentate nel libro è il ruolo della cristianità nel mondo...
R: L’ammissione degli errori commessi nel corso dei secoli da parte di Giovanni Paolo II è la prova lampante delle responsabilità oggettive della Chiesa. Ma papa Francesco ha riacceso in ciascuno di noi il sentimento ancora più forte in grado di cambiare le cose: l’amore. Verso gli altri e verso tutto ciò che ci circonda. 

D: Quali sono, brevemente, le altre questioni che ha voluto mettere in risalto? Attenzione a non svelare troppo!
R: Ce n’è per tutti: dalla scarsa organizzazione scolastica al ruolo della televisione, dalla presunzione del sapere all’educazione dei nostri giovani. Insomma uno smascheramento a 360 gradi dei mali di questa società.

D: Parliamo di un’altra scelta molto interessante, quella di utilizzare inserti dei testi originali classici, che ha inglobato nella narrazione...
R: È uno degli elementi che aiuta il lettore a comprendere quanto sia facile, bello e interessante appassionarsi alla lettura di un testo filosofico. E mi sembra che l’operazione sia riuscita se è vero che nel mio paese lo hanno letto  persone “normali”: dalla commessa del supermercato al carrozziere.

D: Un romanzo breve, quindi, per avvicinare i lettori, piccoli e grandi allo studio e all’amore per la filosofia. Sembra tanto che Socrate non debba rimanere l’unico filosofo a essere scomodato dalla sua penna..
R: Ci sono tanti filosofi che si prestano a essere attualizzati e che possono essere d’aiuto nella comprensione della retta via da perseguire. Vedremo.

D: Che spazio, occupa, secondo lei, la filosofia nelle biblioteche dei lettori? C’è ancora spazio per la divulgazione filosofica nelle librerie?
R: Ancora poco. C’è ancora scetticismo. Ma la rivoluzione è appena iniziata. Sono fiduciosa.

D: Non la disturbiamo oltre e la ringraziamo per la bella chiacchierata. Per congedarci le chiediamo di leggerci un passo del libro al quale è affezionata...
R: Facciamo così. Il passo più bello lo scelgono i lettori... a me piacciono tutti!


(L’intervista è a cura di Matteo Sabato)