Ecco le parole di Frank Iodice del 17 marzo.
Continuate a seguire il suo viaggio in Uruguay.
17
marzo: Calle Reconquista
Come
vi ho raccontato, oggi c’era la possibilità di incontrare il
Presidente di persona, la qual cosa, in un paese europeo non sarebbe
stata così scontata. Prima di raccontare come è andata, mi
piacerebbe descrivere la zona nord, la strada per l’aeroporto è
una strada desolata che, il giorno in cui sono arrivato e ho preso
l’autobus per il centro, mi ha ricordato le grosse aree di servizio
americane, quei desolati centri commerciali davanti ai quali ci sono
le carrozzine elettriche per gli obesi, tutte in fila, parcheggiate
come automobili a noleggio, ricordi tristi, immagini che da ragazzo
mi hanno colpito e che mi ritornano in mente ogni volta che succede
qualcosa di spiacevole.
Stamattina,
insieme a un venezuelano, fuggito dal suo paese, dove prima ti
sparano e poi ti prendono le scarpe, sono andato al Parque Rivera.
Nel Parque Rivera si sono riuniti tutti i giocatori di baseball che
nei loro paesi sono stati dei campioni, anche io, che arrivavo
dalla
Francia, potevo raccontare che la mia media in battuta era enorme,
tutto diventa enorme quando si tratta di parlare di sé, per cui,
questo gruppo di ex campioni fuori forma, riuniti a Montevideo, chi
per lavoro, chi di passaggio durante un viaggio nei paesi
latinoamericani, si è diviso in tre squadre. Ed è così che si
combina un mini torneo su un prato, le basi erano ritagliate da
vecchi materassi, le uniformi improvvisate unendo gli scuri contro i
chiari, io sono finito tra i chiari ma avevo una maglietta nera, e
poco più per giocare felicemente, senza lo stress di un vero
campionato, senza la competizione delle grandi leghe, una bottiglia
di birra da due litri ti aspettava in prima base, se battevi forte te
la meritavi.
Dopo
aver trascorso una mattinata così, vi chiederete, come potevo non
essere felice! Ma se dentro porti la responsabilità della felicità
di qualcun altro, riesci a esserlo anche tu? Nella mia testa ci sono
soltanto i bambini tra i banchi di scuola che stanno aspettando il
saggio sulla felicità, le loro mani sotto i banchi sono ancora
vuote. Per questo, finché non completerò il mio lavoro, non
riuscirò a godermi quasi nulla, e in quel quasi si muove la vita di
molti autori, autori di romanzi, di barzellette, di poesie, di
sorrisi, autori delle vite, procreatori di felicità, o,
semplicemente, uomini e donne che condividono la mia stessa passione
per la vita.
L’incontro
con il Presidente. Avrei dovuto presentarmi di persona nella
segreteria anziché telefonare come mi avevano detto; ho sempre avuto
il brutto vizio di prendere alla lettera quello che mi dicono, invece
sarebbe stato meglio disubbidire alle indicazioni della bella
Cristina, almeno questa volta. Quando ho telefonato, mi è capitata
un’altra segretaria, una infelice, con gli occhiali rossi, con i
capelli biondi-ramati, uno di quei colori che si vendono nel
supermercato e che se sbagli a dosare diventano biondo-ramato, una
catenella pendeva dagli occhiali rossi e sbatteva contro la cornetta,
il resto l’ho immaginato io mentre mi diceva: non ho idea di cosa
mi stia parlando, mi dava del Lei, un saggio su cosa? Sulla felicità?
No, nulla, non trovo alcun dossier con il numero di protocollo che mi
ha dato. La scorsa volta non ne hanno avuto bisogno, le mie carte
erano lì sulla scrivania. Quale scrivania? Non so, quella che è lì,
accanto a lei, quella di Cristina, suppongo, la responsabile
dell’agenda. La segretaria con gli occhiali rossi allora ha capito
di cosa si trattava e mi ha detto: la sua domanda è stata accettata.
Ma? Ma è stata trasferita al MEC. E che cos'è il MEC? le ho
chiesto. Il Ministero dell’Educazione e della Cultura, la
contatteranno loro entro la settimana prossima, ma se non può
aspettare può andarci di persona, si trova in calle Reconquista. Non
c’è problema, mi sono trasferito qui, aspetto tutto il tempo
necessario, anche un anno. Intanto riflettevo sulle parole e sulla
loro nascita spontanea: reconquista, riconquista, per me questa
parola aveva molti significati, che via via comprenderete anche voi.
Mentre
aspetto che il MEC mi contatti, dunque, proseguo con la traduzione
del testo in spagnolo, per ora non l’ho mostrato a nessuno, ho
paura che me lo rubino, che mi rubino la felicità! Il saggio
tradotto in spagnolo sarà pubblicato anche qui! Mi sento davvero
fortunato già a essere arrivato a questo punto, mi hanno preso sul
serio nonostante la barba, brutto biglietto da visita nel sud della
Francia, dove mi hanno cacciato da molti posti, e hanno passato il
progetto al Ministero della Cultura sebbene abbia parlato vagamente
di un saggio che non ho ancora mostrato a nessuno.
Per
quanto riguarda il Presidente Mujica, ci sono diverse vie informali
per incontrarlo e parlare anche con lui del nostro progetto
culturale. Appena il saggio in spagnolo sarà pronto, lo mostrerò
direttamente a lui. Questo mestiere mi ha insegnato, tra le altre
cose, a essere testardo e costante, forse se non fossi stato
scrittore non sarei rimasto qui dopo la telefonata di oggi pomeriggio
con la signora con gli occhiali rossi. Invece sono qui da dodici ore,
più o meno, e sto traducendo il testo in spagnolo per finirlo il più
presto possibile e andare a pranzare al bar dove pranza lui, il Santa
Caterina, a due quadre da qui, quello in cui sono entrato casualmente
l’altra settimana, attirato dal nome forse. In Uruguay le distanze
si misurano in quadras, ogni quadra definisce la fine di una manzana,
una mela, cioè un gruppo di palazzi. Ha senso soltanto perché qui i
palazzi sono costruiti in maniera simmetrica e dall'alto devono
sembrare una scacchiera sulla quale si muovono le pedine e i cavalli,
le torri, le regine, soltanto due, una bianca e una nera, e qualche
alfiere arrivato dall'altra parte dell’oceano con l’arco e le
frecce di riserva.
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