venerdì 28 marzo 2014

Dal diario di Frank Iodice: 17 marzo 2014

Ecco le parole di Frank Iodice del 17 marzo. 
Continuate a seguire il suo viaggio in Uruguay.

17 marzo: Calle Reconquista

Come vi ho raccontato, oggi c’era la possibilità di incontrare il Presidente di persona, la qual cosa, in un paese europeo non sarebbe stata così scontata. Prima di raccontare come è andata, mi piacerebbe descrivere la zona nord, la strada per l’aeroporto è una strada desolata che, il giorno in cui sono arrivato e ho preso l’autobus per il centro, mi ha ricordato le grosse aree di servizio americane, quei desolati centri commerciali davanti ai quali ci sono le carrozzine elettriche per gli obesi, tutte in fila, parcheggiate come automobili a noleggio, ricordi tristi, immagini che da ragazzo mi hanno colpito e che mi ritornano in mente ogni volta che succede qualcosa di spiacevole.

Stamattina, insieme a un venezuelano, fuggito dal suo paese, dove prima ti sparano e poi ti prendono le scarpe, sono andato al Parque Rivera. Nel Parque Rivera si sono riuniti tutti i giocatori di baseball che nei loro paesi sono stati dei campioni, anche io, che arrivavo
dalla Francia, potevo raccontare che la mia media in battuta era enorme, tutto diventa enorme quando si tratta di parlare di sé, per cui, questo gruppo di ex campioni fuori forma, riuniti a Montevideo, chi per lavoro, chi di passaggio durante un viaggio nei paesi latinoamericani, si è diviso in tre squadre. Ed è così che si combina un mini torneo su un prato, le basi erano ritagliate da vecchi materassi, le uniformi improvvisate unendo gli scuri contro i chiari, io sono finito tra i chiari ma avevo una maglietta nera, e poco più per giocare felicemente, senza lo stress di un vero campionato, senza la competizione delle grandi leghe, una bottiglia di birra da due litri ti aspettava in prima base, se battevi forte te la meritavi.

Dopo aver trascorso una mattinata così, vi chiederete, come potevo non essere felice! Ma se dentro porti la responsabilità della felicità di qualcun altro, riesci a esserlo anche tu? Nella mia testa ci sono soltanto i bambini tra i banchi di scuola che stanno aspettando il saggio sulla felicità, le loro mani sotto i banchi sono ancora vuote. Per questo, finché non completerò il mio lavoro, non riuscirò a godermi quasi nulla, e in quel quasi si muove la vita di molti autori, autori di romanzi, di barzellette, di poesie, di sorrisi, autori delle vite, procreatori di felicità, o, semplicemente, uomini e donne che condividono la mia stessa passione per la vita.

L’incontro con il Presidente. Avrei dovuto presentarmi di persona nella segreteria anziché telefonare come mi avevano detto; ho sempre avuto il brutto vizio di prendere alla lettera quello che mi dicono, invece sarebbe stato meglio disubbidire alle indicazioni della bella Cristina, almeno questa volta. Quando ho telefonato, mi è capitata un’altra segretaria, una infelice, con gli occhiali rossi, con i capelli biondi-ramati, uno di quei colori che si vendono nel supermercato e che se sbagli a dosare diventano biondo-ramato, una catenella pendeva dagli occhiali rossi e sbatteva contro la cornetta, il resto l’ho immaginato io mentre mi diceva: non ho idea di cosa mi stia parlando, mi dava del Lei, un saggio su cosa? Sulla felicità? No, nulla, non trovo alcun dossier con il numero di protocollo che mi ha dato. La scorsa volta non ne hanno avuto bisogno, le mie carte erano lì sulla scrivania. Quale scrivania? Non so, quella che è lì, accanto a lei, quella di Cristina, suppongo, la responsabile dell’agenda. La segretaria con gli occhiali rossi allora ha capito di cosa si trattava e mi ha detto: la sua domanda è stata accettata. Ma? Ma è stata trasferita al MEC. E che cos'è il MEC? le ho chiesto. Il Ministero dell’Educazione e della Cultura, la contatteranno loro entro la settimana prossima, ma se non può aspettare può andarci di persona, si trova in calle Reconquista. Non c’è problema, mi sono trasferito qui, aspetto tutto il tempo necessario, anche un anno. Intanto riflettevo sulle parole e sulla loro nascita spontanea: reconquista, riconquista, per me questa parola aveva molti significati, che via via comprenderete anche voi.

Mentre aspetto che il MEC mi contatti, dunque, proseguo con la traduzione del testo in spagnolo, per ora non l’ho mostrato a nessuno, ho paura che me lo rubino, che mi rubino la felicità! Il saggio tradotto in spagnolo sarà pubblicato anche qui! Mi sento davvero fortunato già a essere arrivato a questo punto, mi hanno preso sul serio nonostante la barba, brutto biglietto da visita nel sud della Francia, dove mi hanno cacciato da molti posti, e hanno passato il progetto al Ministero della Cultura sebbene abbia parlato vagamente di un saggio che non ho ancora mostrato a nessuno.

Per quanto riguarda il Presidente Mujica, ci sono diverse vie informali per incontrarlo e parlare anche con lui del nostro progetto culturale. Appena il saggio in spagnolo sarà pronto, lo mostrerò direttamente a lui. Questo mestiere mi ha insegnato, tra le altre cose, a essere testardo e costante, forse se non fossi stato scrittore non sarei rimasto qui dopo la telefonata di oggi pomeriggio con la signora con gli occhiali rossi. Invece sono qui da dodici ore, più o meno, e sto traducendo il testo in spagnolo per finirlo il più presto possibile e andare a pranzare al bar dove pranza lui, il Santa Caterina, a due quadre da qui, quello in cui sono entrato casualmente l’altra settimana, attirato dal nome forse. In Uruguay le distanze si misurano in quadras, ogni quadra definisce la fine di una manzana, una mela, cioè un gruppo di palazzi. Ha senso soltanto perché qui i palazzi sono costruiti in maniera simmetrica e dall'alto devono sembrare una scacchiera sulla quale si muovono le pedine e i cavalli, le torri, le regine, soltanto due, una bianca e una nera, e qualche alfiere arrivato dall'altra parte dell’oceano con l’arco e le frecce di riserva.


Nessun commento:

Posta un commento