venerdì 22 novembre 2013

Fiere o caravanserragli? Pensieri sparsi tra Francoforte, Milano e Rom

Questa riflessione, lo ammettiamo, arriva un po’ tardiva, quando ormai i fuochi della polemica si sono già acquietati e l’editoria nostrana si proietta verso nuovi (e dolorosi?) bilanci. Eppure ci sembra necessario riprendere una discussione sullo stato dell’industria del libro e sui grandi eventi che la caratterizzano perché siamo del parere che il movimento fieristico, che in questa stagione è quanto mai vivace e ricco di appuntamenti, sia uno dei perni di questa querelle.
Si è chiusa appena il mese scorso la Buchmesse, la fiera internazionale dell’editoria che ogni anno raccoglie a Francoforte, in Germania (e questo non è un dato irrilevante), milioni di visitatori. Eh, appunto, visitatori. E le case editrici?
Anche quest’anno gli organizzatori hanno registrato un calo degli espositori rispetto al 2012 (si è passati dai 7300 della passata edizione ai 7100 attuali), descrivendo una tendenza negativa in atto già da qualche anno (nel 2010 erano 7539). E l’Italia?
Il nostro paese registra il passivo più rilevante di questa edizione: solo 220 le imprese partecipanti con un calo del 7%. Segno della crisi che attanaglia l’editoria? Probabilmente sì, ma quali sono gli estremi di questa crisi?
Come ogni anno all’apertura della manifestazione, il Punto Italia è stato vivacizzato (pura ironia la nostra, ce ne scusiamo con gli animi sensibili) dalla presentazione del Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2013, curato da Nielsen per l’AIE, l’Associazione Italiana degli Editori. I dati contenuti nel resoconto (è possibile visionarne una sintesi sul sito www.aie.it nella sezione Cifre e Numeri) non sono per niente incoraggianti: il 2012 è descritto come l’annus horribilis dell’editoria nostrana.
I parametri che tratteggiano la crisi sono quelli che, prima ancora di qualsiasi altra considerazione di carattere socio-culturale, attengono all’aspetto principale di una qualunque impresa industriale: il mercato. Rispetto a questo dato le case editrici denunciano un nuovo crollo delle vendite, che si attesta sui complessivi 3,1 miliardi di euro, con un calo del 6,3% e che si aggrava se da queste cifre disaggreghiamo i numeri relativi ai ricavi del non book (cartoleria varia e gadget, che riempiono a vista d’occhio le librerie del Paese) e dei remainders (le eccedenze di magazzino e gli stock di copie invendute rimessi sul mercato a metà prezzo).
Tra le altre informazioni che possono servire alla nostra disquisizione, il Rapporto registra un mutamento delle gerarchie di vendita, con una crescita costante degli acquisti online a discapito della libreria fisica (e soprattutto di quella indipendente) e un, ci pare, conseguente incremento del mercato degli ebook, a fronte anche di una più aggressiva offerta da parte dei venditori di e-reader.
Un dato confortante in tutto questo c’è ed è che, sebbene di poco, stia crescendo il tasso di lettura in Italia. È difficile comprendere da quale parte stia il merito, ma indubbio è il ruolo che in questo ha assunto il digitale nel favorire la diffusione del libro e della lettura in quei settori e tra quelle fasce di popolazione che tradizionalmente si avvicinano poco ai testi. E del resto, non possiamo nemmeno ignorare il fatto che la scuola italiana stia andando verso la strutturazione di una didattica ad alto tasso di digitalizzazione, il che richiede una conversione del libro di testo con un conseguente aumento non solo delle vendite (forzate), ma anche della lettura (obbligatoria).
Il commento di Marco Polillo, presidente dell’AIE, a questi dati la dice lunga sull’insofferenza generalizzata che serpeggia tra gli addetti ai lavori. Polillo apre la sua chiosa (il documento è presente sul sito) lamentando con amarezza che se lo scorso anno una politica del libro era urgente, ora è decisamente in ritardo e ha generato pericolosi danni: calo del fatturato del 14%; crisi occupazionale con numerose imprese editrici che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione; continua chiusura delle librerie; drammatico accesso al credito; e, non ultimo, un preoccupante calo dell’export. Polillo, che è anche Presidente di Confindustria Cultura, dopo il confronto con lo stato in cui versano gli altri mercati librari nazionali, lancia apertamente una critica alle istituzioni dalle quali si attende «una politica per il futuro», la quale non si basi su meri sussidi, ma «un supporto basato su regolamentazione, sostegno all’innovazione e promozione culturale». Egli ravvisa, inoltre, alcuni temi caldi sui quali ritiene si debba urgentemente intervenire per risollevare le sorti dell’editoria nostrana:
  1. una seria promozione della lettura, che parta anche da iniziative ministeriali o che per lo meno non sottragga i fondi a disposizione di quelle già avviate altrove;
  2. l’adeguamento dell’IVA sugli ebook, che sono ancora aggravati dell’aliquota al 22%, a differenza della carta che gode di un trattamento privilegiato: ci pare un passo necessario, se si considera la crescita del mercato digitale;
  3. una ri-determinazione degli equilibri competitivi nei canali commerciali del libro in tutto il mondo, perché gli ebook hanno una natura più internazionale e stanno aprendo alla concorrenza internazionale anche i mercati ecommerce del libro fisico e stanno modificando i rapporti tra ecommerce e commercio tradizionale, mettendo a rischio le librerie. E questo può avvenire solo attraverso un rafforzamento delle norme sul prezzo fisso, come avviene nel resto d’Europa;
  4. una presenza più marcata di contenuti culturali nell’agenda digitale: l’Italia ha fatto una battaglia a Bruxelles per sostenere che nell’agenda digitale europea dovesse esserci la cultura. Ed è stata una battaglia vinta. Poi, tornati in Italia, di cultura nell’agenda digitale quasi non si parla. Eppure, quando si seguono strade diverse i risultati si vedono. È di questi giorni un’interrogazione di due parlamentari europei del nostro paese, Silvia Costa e Luigi Berlinguer, che chiede al vice presidente della Commissione, Neelie Kreus, di dare priorità agli interventi sul tema dell’accesso dei non vedenti ai contenuti digitali, e in particolare ai libri. Lo fanno ricordando l’esperienza italiana, che sta destando l’interesse nel resto d’Europa, grazie al progetto LIA - Libri Italiani Accessibili. È la dimostrazione che quando facciamo sistema conquistiamo posizioni di leadership nel mondo, sappiamo essere innovativi.
Ci sembra, tuttavia, che in questo elenco manchi, o probabilmente non era pertinente, un’attenzione al ruolo che nella nostra industria editoriale assolvono le fiere (del libro, dell’editoria o di tutto ciò che è legato al tema della lettura). La scarsa presenza di editori a Francoforte ha scatenato veraci polveroni e scontri polemici sulle pagine dei quotidiani nazionali e dei blog culturali. Su tutti vi rimandiamo alla diatriba mossa dal corsivo, una geremiade incosciente, a nostro avviso, di Gian Arturo Ferrari, presidente del Cepell, sul Corriere della Sera del 14 ottobre http://www.corriere.it/opinioni/13_ottobre_14/scoprire-non-contare-piu-nulla-5ec8121a-34ed-11e3-b0aa-c50e06d40e68.shtml e alla quale hanno risposto per le rime, tra gli altri, Christian Raimo dalle pagine di Minima&Moralia, il blog culturale della Minimum Fax, (http://www.minimaetmoralia.it/wp/giusto-due-parole-a-gian-arturo-ferrari/) e Paola Del Zoppo, direttrice editoriale di Del Vecchio (http://www.senzazuccheroblog.it/gian-arturo-ferrari-rapito-dagli-alieni/#comment-2112).
Al di là di questa caduta dalle nuvole di Ferrari, il quale è rimasto inorridito dai corridoi italiani deserti della Buchmesse, c’è un dato che non può sfuggire: effettivamente Francoforte non è alla portata dell’editoria italiana. O forse, ci chiediamo noi, è arrivato il momento in cui l’impresa culturale italiana non abbia più voglia di puntare sulla fiera?
Ora non vogliamo sobillare altri, e ingloriosi, vespai, ma vogliamo avviare una riflessione su questo segmento importante della politica commerciale (e culturale, indubbiamente) in questo momento di rigoglio di appuntamenti e a pochi giorni dall’apertura di Più libri, più liberi, la Fiera della Piccola e Media Editoria, che inizia a Roma il prossimo 5 dicembre.
Indubbiamente le fiere dell’editoria hanno rappresentato, nel corso degli anni, una delle vetrine più accattivanti per le aziende italiane e per i nostri scrittori, perché consentono al lettore di avere sottomano le produzioni più recenti e più interessanti degli editori italiani, di conoscere i cataloghi di quanti restano più defilati e di entrare a diretto contatto con i suoi beniamini della penna. La domanda è lecita: ma questo non lo fanno già i social network, i cataloghi digitali, i siti delle diverse imprese e i blog culturali? Cui prodest, allora, impegnare denari ed energie per tentare un’operazione di promozione che è già assolta naturalmente dagli strumenti della multimedialità 2.0?
Le analisi più recenti ci dicono che, con Pinterest capofila, tutti i social network sono diventati le vetrine più agognate dagli editori italiani: basta fare la conta dei profili su Twitter e dei loro follower per comprendere quanto oggi raggiungere il lettore e farsi conoscere sia davvero all’ordine del giorno. Eppure c’è ancora chi difende a spada tratta il ruolo svolto dalle fiere nel mercato librario internazionale. E già, perché c’è forse un elemento che su tutti dà valore a questa esperienza e si chiama, per optare (e piegare ai nostri scopi) un’espressione di un santo del secolo scorso: convivialità delle differenze. Già perché le fiere offrono quel contatto umano e quell’incrocio di storie, esperienze, sperimentazioni e innovazioni fondate sul sacro valore della parola, quella parlata, quella scambiata face to face, quella fatta di dispute infervorate e amabili conversazioni da salotto, che qualsiasi mezzo di comunicazione non può offrire o può farlo solo in parte.
Soprattutto per quegli eventi dedicati alla piccola e media editoria (che rappresenta la maggior fetta della realtà produttiva italiana secondo Antonio Monaco, Presidente del Gruppo Piccoli Editori di AIE), come Più Libri, Più Liberi, che partirà il prossimo 5 dicembre al Palazzo delle Esposizioni all’EUR a Roma. Questi, infatti, possono essere l’occasione per le piccole editrici italiane, e in questo il settore non è dissimile dal tessuto imprenditoriale fatturiero, che hanno un’elevata capacità innovativa, ma anche una fragilità imprenditoriale nella capitalizzazione e nelle risorse finanziarie. Per esse la Fiera rappresenta l’occasione per far arrivare al lettore (e in queste occasioni parliamo di lettori forti curiosi di scoprire le sperimentazioni e i prodotti alternativi) quelle iniziative che restano fuori dai giri del grande marketing e delle discussioni virtuali: come dice Francesca Chiappa, di Hacca edizioni, si ha la possibilità di far conoscere il proprio progetto editoriale accanto a tante altre proposte di qualità scelte con cura dagli organizzatori e presentate senza prevaricazioni da parte dei grandi marchi sui piccoli e permettendo al lettore di scegliere in autonomia ciò che preferisce.
Ma, a prescindere da queste considerazioni, la fiera è l’occasione, a nostro avviso, perché gli editori si confrontino sul serio sulle urgenze dell’agenda culturale e dell’industria editoriale nazionale e internazionale per individuare strategie comuni, sinergie da attivare, indirizzi comuni da seguire per trovare l’alternativa a questa crisi della lettura, delle vendite, della cultura che oggigiorno rischia di vanificare gli sforzi complessivi di uno dei settori più importanti dell’industria mondiale, che è l’industria della cultura, sulla quale prima o poi anche la politica dovrà fare affidamento. E questo è possibile farlo solo uscendo dall’hortus conclusus dei propri spazi, che spesso, nelle Fiere – e su questo hanno ragione i detrattori – diventano delle piccole fortezze inespugnabili in cui ognuno guarda al suo orticello e non riesce ad andare oltre.
È quindi più indicato, allora, sulla scorta di queste considerazioni, puntare sulle iniziative come Bookcity, che si inaugura oggi a Milano, e vuole essere più che una vetrina, un’agorà di discussione, di incontro e di promozione della lettura diffusa, senza uno spazio fisso e puntando alla valorizzazione di tutti quei posti nei quali il libro può trovare il suo spazio e il suo ruolo di guida educativa, interagendo e integrandosi con la multimedialità globale dell’era della virtualità (tutte le info si trovano sul sito http://www.bookcitymilano.it/).
Non possiamo dire per certo se oggi le Fiere hanno ancora valore nel mercato librario e culturale (né immaginiamo esista una risposta definitiva). Vogliamo però iniziare a discuterne, nella convinzione che il futuro dell’editoria deve essere costruito da una forte spinta all’innovazione, dal sostegno delle istituzioni e, soprattutto, da un sano spirito corporativo, passateci il termine, che offra agli editori strade/spazi/occasioni per incontrarsi, parlare, creare sinergie e magari anche alleanze.

Postilla semiseria: questo post è stato scritto nella caffetteria di un grosso store librario italiano. Nel corso della redazione, chi scrive ha potuto assistere al via vai curioso e affascinato di frotte di clienti di tutti i tipi, ma in special modo di ragazzini affascinati da questo angolo ricreativo di ristoro e dai libri tutti attorno. Sarà forse il caso di pensare alle Fiere del libro in accordo con gli operatori enogastronomici? Non dimentichiamo di essere italiani e di amare, prima di ogni altra cosa, la buona cucina. E, a parte gli scherzi, iniziative in tal senso sono già avviate da anni e la commistione con i prodotti culinari non sono certo una novità del panorama librario. Ma questo risolve davvero il problema?

Matteo Sabato


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