Ci
sono romanzi che non si limitano a raccontare una storia ma, con
occhio critico, descrivono uno spaccato della nostra società, delle
sue contraddizioni, delle sue malvagità, offrendo la possibilità al
lettore di domandarsi se quello in cui viviamo è veramente un mondo
giusto. “Una buona stella” di Francesco De
Giorgi è proprio quel genere di romanzo.
Sullo
sfondo di una società “sporca”, di un mondo che “luccica
solo per i più fortunati”, di un microcosmo in cui si muovono
personaggi di basso profilo, si incontrano due vite sbagliate, due
vite sfortunate, due solitudini. Sono quelle di Franco e Stella.
Lui,
Franco, cinquantenne impiegato comunale dall’esistenza grigia,
noiosa, abitudinaria e tremendamente solitaria, ha trascorso tutta la
sua vita in attesa della sua “buona stella”, ovvero
dell’occasione giusta, della felicità, di una donna. Finalmente
quella buona stella, che per uno scherzo del destino si chiama
proprio Stella, sembra arrivare: è una ragazza che gli darà il
coraggio di guardarsi con occhi diversi, di dare fiducia alla vita.
Lei,
Stella, è una giovane albanese di diciannove anni, bellissima, dai
capelli biondi e dagli occhi azzurri come il mare, con un triste
passato e un futuro troppo incerto. Vittima di violenze, è sfuggita
al racket della prostituzione, e vive oramai in preda ad ansie e
paure, non riuscendo più a fidarsi del prossimo.
A
fare da cornice, una cittadina provinciale come Gallipoli che si
rivela nella sua profonda contraddizione di paese di mare: solare,
piena di vita in estate, profondamente malinconica e solitaria quando
incombe l’inverno.
L’incontro
tra Franco e Stella regalerà a entrambi un po’ di luce e rari
attimi di serenità, l’illusione che una seconda possibilità possa
essere concessa a tutti. Ma inesorabilmente a vincere sarà ancora
una volta il dolore, la smarrimento, la solitudine.
Francesco
De Giorgi, giovane autore salentino alla sua seconda prova come
scrittore, ha una visione piuttosto disincantata della realtà, non
concede sconti a nessuno, e ci racconta una società fatta di sogni
effimeri, di prepotenze, di disagio, di vuoto. Lo fa attraverso la
caratterizzazione di personaggi che, sicuramente, nel nostro
quotidiano abbiamo incontrato o conosciuto. Panettieri non di certo
in forma che tra una baguette e un filoncino espongono il loro
calendario senza veli, bariste dal bel sorriso che si concedono a
tutti imitando le attricette che occupano i rotocalchi, giovani rozzi
e cafoni pieni di tatuaggi, oramai simbolo di conformismo più che di
trasgressione, ragazzini che non riescono più a sviluppare una
propria personalità e a provare delle emozioni, anziani considerati
come un peso, e non come punti di riferimento.
Si
finisce di leggere il romanzo con la convinzione che sicuramente non
è questo il mondo che vorremmo ma, nostro malgrado, “le cose
non vanno come dovrebbero andare, altrimenti la vita sarebbe troppo
bella e facile”.
Cristina
Trinchera
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