sabato 30 novembre 2013

Recensione a "Una buona stella" (Lupo Editore) di Francesco De Giorgi

Ci sono romanzi che non si limitano a raccontare una storia ma, con occhio critico, descrivono uno spaccato della nostra società, delle sue contraddizioni, delle sue malvagità, offrendo la possibilità al lettore di domandarsi se quello in cui viviamo è veramente un mondo giusto. “Una buona stella” di Francesco De Giorgi è proprio quel genere di romanzo.

Sullo sfondo di una società “sporca”, di un mondo che “luccica solo per i più fortunati”, di un microcosmo in cui si muovono personaggi di basso profilo, si incontrano due vite sbagliate, due vite sfortunate, due solitudini. Sono quelle di Franco e Stella.
Lui, Franco, cinquantenne impiegato comunale dall’esistenza grigia, noiosa, abitudinaria e tremendamente solitaria, ha trascorso tutta la sua vita in attesa della sua “buona stella”, ovvero dell’occasione giusta, della felicità, di una donna. Finalmente quella buona stella, che per uno scherzo del destino si chiama proprio Stella, sembra arrivare: è una ragazza che gli darà il coraggio di guardarsi con occhi diversi, di dare fiducia alla vita.
Lei, Stella, è una giovane albanese di diciannove anni, bellissima, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri come il mare, con un triste passato e un futuro troppo incerto. Vittima di violenze, è sfuggita al racket della prostituzione, e vive oramai in preda ad ansie e paure, non riuscendo più a fidarsi del prossimo.
A fare da cornice, una cittadina provinciale come Gallipoli che si rivela nella sua profonda contraddizione di paese di mare: solare, piena di vita in estate, profondamente malinconica e solitaria quando incombe l’inverno.
L’incontro tra Franco e Stella regalerà a entrambi un po’ di luce e rari attimi di serenità, l’illusione che una seconda possibilità possa essere concessa a tutti. Ma inesorabilmente a vincere sarà ancora una volta il dolore, la smarrimento, la solitudine.

Francesco De Giorgi, giovane autore salentino alla sua seconda prova come scrittore, ha una visione piuttosto disincantata della realtà, non concede sconti a nessuno, e ci racconta una società fatta di sogni effimeri, di prepotenze, di disagio, di vuoto. Lo fa attraverso la caratterizzazione di personaggi che, sicuramente, nel nostro quotidiano abbiamo incontrato o conosciuto. Panettieri non di certo in forma che tra una baguette e un filoncino espongono il loro calendario senza veli, bariste dal bel sorriso che si concedono a tutti imitando le attricette che occupano i rotocalchi, giovani rozzi e cafoni pieni di tatuaggi, oramai simbolo di conformismo più che di trasgressione, ragazzini che non riescono più a sviluppare una propria personalità e a provare delle emozioni, anziani considerati come un peso, e non come punti di riferimento.
Si finisce di leggere il romanzo con la convinzione che sicuramente non è questo il mondo che vorremmo ma, nostro malgrado, “le cose non vanno come dovrebbero andare, altrimenti la vita sarebbe troppo bella e facile”.


Cristina Trinchera


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