3
maggio – Los pájaros
perdidos
Cara
Redazione Lupo e cari lettori, stamattina vi scrivo da Colonia del
Sacramento, un
paesino pittoresco dal quale partono i traghetti per Buenos Aires;
se la macchina fotografica compatta che mi ero procurato non fosse
morta per cause naturali e non stessi imprecando contro me stesso
allo specchio da almeno un'ora perché non ho portato con me la
reflex che adesso dovrebbe essere in Francia, ad Antibes, a casa di
mio fratello se non mi sbaglio, vi manderei anche una foto. Sto
andando a cercare un caricabatteria: se lo trovo, vi manderò qualche
foto oggi pomeriggio. Nel frattempo, ne approfitto per raccontarvi
una cosa.
Prima
stavo ripensando alle lenzuola pulite di casa mia e al caffè caldo
insieme alla mia Anisetta, sul nostro divano da giardino con il quale
abbiamo arredato la sala del modesto bilocale preso in affitto
insieme un anno e mezzo fa. Questi pensieri sdolcinati mi vengono in
mente sempre quando sono in un letto scomodo o quando bevo un caffè
schifoso che sa di scarico della toilette, ma, come diceva sempre mia
nonna, quando non hai con chi andare a letto ci vai con l'asina.
Credo che, per la nonna, l'asina rappresentasse il prototipo di donna
brutta, se immagino una fidanzata asina per esempio, con le orecchie
grandi e i peli dappertutto, ma anche la metafora per una situazione
difficile nella quale devi trovare sempre il lato positivo. In ogni
proverbio, alla fine, ognuno può trovarci quello che gli pare, basta
un po' di fantasia e magari un caffè migliore di questo che ho
davanti e che non riuscirò a finire neanche se lo riempio di
zucchero e cannella: la cannella è ottima per prevenire il diabete.
A
farmi ritrovare il buon umore, come sempre, è stata la mia Anisetta,
che – come vi ho già detto – non si chiama proprio Anisetta, ma
in queste note ho deciso di chiamarla così, come la protagonista di
uno dei miei romanzi; lei mi telefona sempre verso le sette, al
massimo alle sette e mezza – ora locale – per verificare che io
non abbia trascorso la notte nel letto di un'altra Anisetta,
oppure per darmi il buongiorno prima di chiunque altro e non
interrompere un'abitudine acquistata durante la convivenza nel nostro
bilocale che affaccia sul campo di bocce di place Arson, a Nizza,
dove organizzano i tornei degli ultra-sessantenni cui non puoi
partecipare se sei under-sessantenne. Ogni volta che mi affaccio, mi
viene voglia di essere ultra-sessantenne e diventare un campione di
bocce: hanno persino la calamita recupera-boccia attaccata a una
catenella che assomiglia a un antico orologio da taschino e che serve
a non abbassarsi dopo ogni giocata!
Aspetta
che mi alzo, ho detto alla mia dolce Anisetta, non vorrei svegliare
la mia fidanzata uruguaiana. Bene, fai piano allora, perché quando
torni a letto la troverai stecchita la tua fidanzata uruguaiana!, lei
è consapevole di quello che sta rischiando, vero?
Ecco,
più o meno le nostre conversazioni sono sempre così, ci prendiamo
in giro per tutto il tempo, smettiamo soltanto per fare altre cose
che non si possono raccontare in queste caste note di viaggio
altrimenti l'editore non me le pubblicherebbe; ma mi piace – mentre
cerco di distendere un po' la schiena per rimediare a queste notti
orrende sui disastrati letti sudamericani – ricordare le mie
conversazioni con Anisetta. Oppure le nostre lettere d'addio. Quando
esco, per esempio, le lascio sempre una lettera di addio, a volte
soltanto un messaggino di addio, ma sempre dello stesso genere, e lei
fa lo stesso, ci divertiamo come matti a scrivere cose di questo
genere: mia adorata, questa volta è vero, non piangere ti prego, ma
non poteva continuare così!, oggi partirò, andrò lontano, verso il
nord con la prima corriera, no, non cercare di fermarmi, sarebbe
troppo triste e renderesti le cose ancora più difficili, oh, amore
mio, addio, addio per sempre!
A
proposito, quasi dimenticavo la ragione per la quale avevo
incominciato a scrivere questa nota: stamattina ho ricevuto anche
un'altra telefonata, dopo il consueto controllo coniugale, una
telefonata in cui grosso modo mi annunciavano che il testo del nostro
saggio sulla felicità è stato registrato presso la biblioteca
nazionale e adesso ha anche un codice ISBN, per cui mi toccherà fare
di nuovo un salto a Montevideo prima di ripartire definitivamente per
Buenos Aires. Mentre l'impiegato della biblioteca mi comunicava che
la documentazione era pronta per essere ritirata, si sentivano le
note di Pájaros
perdidos, musica di Astor Piazzolla, parole di Mario Trejo:
Vuelven
de nuevo los recuerdos, las horas jóvenes que dí,
y
desde el mar llega un fantasma hecho de cosas que perdí...
A
me, comunque, ha fatto più piacere la prima telefonata...
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