giovedì 17 ottobre 2013

La valutazione degli inediti. Ovvero di quando bisognerebbe tenere chiusi i cassetti ancora un po’.


Nel settembre del 2013 è uscito in libreria, per conto dell’editrice Laterza, un divertentissimo, e quanto mai veritiero, testo sulla scrittura e il complicato mondo dell’editoria italiana. Ciò che più colpisce, però, di questo libro è il titolo assai sconfortante e di certo poco incoraggiante per gli aspiranti scrittori – e sono tantissimi nel Belpaese – che hanno, tra le mani o nel cassetto, quella che per loro è la storia più bella che sia mai stata scritta. E così vorresti fare lo scrittore (non un punto interrogativo a dare segno di una parvenza di retorica) è, appunto, una disquisizione in chiave semiseria sullo stato dell’editoria in Italia e sulla condizione – che non mi permetto di qualificare in alcun modo – degli scrittori nostrani.
Autore è il torinese Giuseppe Culicchia, classe 1965, scrittore (o come dice nel suo libro, il Solito Stronzo) e traduttore italiano dalla verve pungente e dissacratoria, che illustra, con tanto di riferimenti alla sua esperienza, i diversi passaggi che portano il “libro nel cassetto” nelle case (o nei cestini) di migliaia – o decine – di lettori.
Lo dico senza riserve: questo libro è fortemente sconsigliato a quanti rientrano nella categoria menzionata all’inizio di questo post. O forse – per dare un’ultima chance alla mia onestà intellettuale – dovrei dire che è il caso che lo leggano. Non me ne vogliano i numerosi psichiatri, psicanalisti o terapeuti, se, con questa avvertenza, sottrarrò loro un po’ di pazienti; ma non me la sento proprio di essere omertoso complice della deriva esistenziale di quanti credono che il libro che hanno nel cassetto prima o poi diventerà un best-seller, che metterà in ombra i fasti di Calvino e compagnia bella: oggi scrivere un libro, in Italia o nel resto del Mondo non fa differenza, oltre che essere un esercizio inflazionato, è anche molto frustrante.
Bene, se a questo punto non avete abbandonato la lettura del post e siete curiosi di sapere come andrà a finire, allora fate parte della schiera di scrittori, o aspiranti tali, davvero convinti, che non si fermano davanti alle prime difficoltà. In questo caso meritate una rassicurazione. Perché, in fondo, sappiatelo, scrivere è anche una bellissima esperienza e di storie belle le case editrici sono continuamente alla ricerca. È anche vero che nel nostro Paese i tassi di lettura sono paurosamente inferiori alla media europea, i libri si vendono poco e gli italiani sono, a quanto pare, un popolo di scrittori ma non di lettori. Proprio per questo è bene arrivare preparati a questa sfida ed essere coscienti di alcune cose, nel momento in cui vi accingete a comporre la vostra fatica letteraria o l’avete appena conclusa.

La prima questione che si presenta agli occhi dell’autore di un testo (narrativo, poetico, saggistico o di qualsiasi altro tipo) è sempre lo stesso: e ora che me ne faccio?
In questo caso, se siete davvero convinti che il vostro scritto sia bell’e concluso (ho scritto bello – siatene davvero certi!), le possibilità davanti a voi sono due: inviarlo a una casa editrice oppure a un’agenzia letteraria. Molti editori, soprattutto i medio-piccoli, si dedicano personalmente alla selezione dei manoscritti attraverso l’opera dei comitati di lettura e degli editor; altre case editrici, soprattutto i grandi nomi, si affidano invece alle agenzie letterarie, cioè a imprese create con lo scopo di fornire assistenza agli scrittori attraverso tutta una serie di servizi che vanno dalla valutazione del manoscritto all’editing fino all’impegno di rappresentare l’autore (i grandi editori, in questo caso, selezionano manoscritti che sono consigliati dalle agenzie). Non ci soffermiamo adesso sul valore di queste due possibilità, perché non compete a questo post, ma al lettore basti sapere che molto spesso le agenzie, a fronte di una cura dedicata (e anche qui bisogna stare attenti a evitare gli sciacallaggi), chiedono cifre molto alte per il loro servizio, mentre una casa editrice non chiede alcun compenso per la lettura di un manoscritto, sebbene il prezzo da pagare sia un’attesa lunga.
A questo proposito sfatiamo un falso mito: non è vero che le case editrici non leggono tutti i manoscritti che ricevono. O almeno non tutte, e questo dipende molto da alcune condizioni. Personalmente ci dedichiamo alla lettura di ogni manoscritto che ci capiti sotto mano; e proviamo a farlo anche quando questo muove fin dalle prime pagine un’imbarazzante e indegna retorica misogina nella quale ogni donna italiana viene apostrofata nelle maniere più becere (non stiamo inventando, ci è successo per davvero). Se il dattiloscritto non rientra in quest’ultima tipologia, allora sappiate che i consulenti editoriali si dedicheranno con cura e dedizione alla lettura del vostro capolavoro. E questo avviene anche nel caso in cui voi abbiate dimenticato di allegare una sinossi che presenti la vostra opera: molte case editrici la richiedono esplicitamente ed è un modo per fare una prima scrematura. Dinanzi a un’offerta così ipertrofica, gli editori hanno già in mente verso quali segmenti del mercato rivolgere la loro attenzione e di quali storie sono alla ricerca; in questo caso la sinossi può servire al caso ed evitare la lettura di una storia che in quel momento non rientra nel loro piano di lavoro.
Al di là di quello che si sente spesso dire in giro – e le voci vengono fatte circolare spesso da quanti hanno ricevuto una bocciatura – gli editori (e soprattutto i consulenti editoriali) vivono costantemente con il sogno di avere sotto mano il libro più bello che abbiano mai letto: non è solo una questione di mercato, è anche espressione di una sensibilità e di una passione che connotano chi fa questo mestiere. Basti pensare che allo scouting, al reperimento cioè di nuovi autori, è dedicato anche un festival. La Scuola Holden (la scuola di scrittura nata dal genio di Alessandro Baricco), infatti, ogni anno promuove un concorso per esordienti under 40 con lo scopo, non solo, di scoprire nuovi talenti, ma anche di farli confrontare con gli editor di grandi case editrici e di farli conoscere al pubblico.
In ogni caso, se il vostro dattiloscritto sarà giunto sulla scrivania di un editor; se questi l’avrà letto e ne sarà stato colpito piacevolmente; se questi, ancora, avrà deciso che il vostro testo merita di essere pubblicato; allora statene certi che lotterà strenuamente per convincere anche l’editore di questa opportunità (l’ultima parola spetta anche a lui) e per voi si apriranno le porte della libreria. E, come dice Giuseppe Culicchia, inizierà anche il tempo dell’ansia da vendita.
Noi intanto vi diamo due o tre consigli per avventurarvi in questo mondo:
  1. Avete appena finito di scrivere la vostra storia. L’avete riletta almeno dieci volte alla ricerca di refusi, errori e orrori ortografici-sintattici-lessicali, stonature e quant’altro? Se sì, allora potete aprire il cassetto e riporre il vostro manoscritto. Lasciatelo lì a sedimentare per almeno sei mesi. Dategli cioè il tempo di abbandonare il controllo totale della vostra mente; dimenticatelo perché possiate essere alla stregua di un lettore ipotetico e avere così il giusto distacco per valutare in maniera critica quello che avete scritto. È un ottimo esercizio che vi consigliamo di fare. Che vi consigliamo vivamente di fare, visto che ogni giorno leggiamo testi che sembrano scritti nel lasso di un’ora, senza un minimo di revisione e buttati in pasto alle nostre fauci affamate senza un minimo di attenzione. Quelli delle Edizioni Trabant, in proposito, ci hanno fatto un post sul loro blog dal titolo eloquente: Manoscritti inediti: non ci siamo (il post è consultabile a questo indirizzo http://www.edizionitrabant.it/ilrefuso/manoscritti-inediti-non-ci-siamo/);
  2. Se sono passati i canonici sei mesi, allora aprite il cassetto e riprendete in mano il vostro testo. Potrebbe apparirvi lontano da voi, potreste non riconoscervi in quello che avete scritto e sentire che tante cose non funzionano. Non vi scoraggiate: adesso sapete su cosa lavorare, avete coscienza di cosa bisogna migliorare e potete dedicarvi a questa limatura con la mente fresca e una maggiore attenzione. È una cosa positivissima, per cui apprezzatela. Se invece il vostro scritto vi appare ancora bello e, secondo voi, “funziona”, allora è proprio il momento di metterlo alla prova (un’altra veloce ripassatina non sarebbe comunque male);
  3. Quando il vostro testo è compiuto e reso presentabile (non diciamo un’impaginazione pronta per essere già in libreria, ma quantomeno un certo rigore nell’impostazione delle pagine perché possano essere leggibili e decorose), a voi la scelta di affidarlo a un’agenzia letteraria o a un editore: in entrambi i casi vi consigliamo di accompagnare il testo con una vostra lettera di presentazione, in cui inserirete una breve biografia, e soprattutto con una sinossi, cioè con un breve testo – non più di una cartella dattiloscritta – che presenti la vostra opera, ne illustri per sommi capi la trama, individuando punti di forza e originalità;
  4. quando infine avete mandato il tutto, non vi resta che aspettare e dedicarvi alle vostre vite perché i tempi sono abbastanza lunghi (da tre a sei mesi almeno, a seconda della casa editrice) e, come avvisano chiaramente alcuni editori, spesso non riceverete nemmeno una risposta, se il vostro testo non ha superato l’esame.

Nel frattempo, piuttosto, potreste godervi quel tempo di grazia che è lo stato di chi è ancora nell’anonimato. Scrive Culicchia nel suo libro: «Fino a quando resti inedito, proprio in quanto inedito godi in realtà di un grande privilegio, che poi, una volta raggiunto il traguardo va da sé agognato della pubblicazione, non avrà mai più. Il privilegio di scrivere per così dire nel vuoto. Tranne te stesso, e in seguito magari pochi amici o familiari, nessuno ti ha ancora letto. E neppure criticato».
E mentre vi godete questo momento, magari potreste leggere. Tanto, tantissimo.

Matteo Sabato



2 commenti:

  1. Articolo pungente e utile, senza fronzoli, quelli che uno scrittore che voglia essere incisivo deve evitare !

    RispondiElimina